Wednesday, 30 March 2011

SiciliaInformazioni.com: Un pò di contro-pubblicità per Unicredit/Banco di Sicilia

Dal Banco di Sicilia all'Unicredit
La fine di un punto di riferimento per tutti i siciliani

30 marzo 2011

(Pasquale Hamel) C'era una volta il Banco. Potrebbe essere questa l'epigrafe di una storia aziendale che ha segnato il percorso di questo ultimo secolo e mezzo della nostra terra. Perché, checche se ne dica, il Banco di Sicilia ha condizionato nel bene o nel male lo sviluppo culturale ed economico dell'isola accompagnando, e non solo sul piano finanziario, speranze e delusioni del popolo siciliano. Il Banco, infatti, ha costituito un riferimento certo che, seppure mal gestito e spesso (ahime') ricettacolo di malaffare, aveva pero' operativamente la capacita' di relazionarsi, anche positivamente, col territorio e con i bisogni che lo stesso esprimeva. Un istituto di credito che, nonostante le considerevoli dimensioni (si trattava pur sempre di una grande banca nazionale con sedi, nei tempi migliori, anche all'estero), riusciva ad offrire un profilo non freddo o arido, tipico dei rapporti formali, ma, direi, quasi umano, cioè non lontano dagli stili di vita tipici della cultura locale.
kastalia2011

In poche parole un istituto di credito che adottava il criterio del buon padre di famiglia: un modo di operare che consentiva di superare la contrapposizione dialettica fra creditore e debitore per riproporre un modello che potremmo definire paternalistico e collaborativo inteso a sostituire al conflitto la buona mediazione. Dirigenti, funzionari e dipendenti avevano, infatti, in modo più o meno evidente, tutti un volto, una voce, una capacita' di interlocuzione con la clientela che non si fermava alla verifica dei conti economici ma che s'immedesimava nelle vicende personali dei clienti che andava, cioè, oltre, confrontandosi con la situazione complessiva di colui che con cui si entrava in rapporto.

Il cliente era visto come persona e non come numero di pratica. Uno stile che faceva del Banco il riferimento locale, che ne faceva elemento imprescindibile, mi si consenta l'esagerazione, della vita dei siciliani. Da qualche anno, purtroppo, quel riferimento non c'è più. La poca lungimiranza politica di chi ha governato, maggioranza e opposizione compresa, e l'avventurismo di qualche dirigente, uniti al cupio dissolvi praticato da irresponsabili pezzi della società siciliana, ha consentito la sua liquidazione per pochi spiccioli giustificando come necessaria un'operazione che ha avuto tutta l'aria, e non sono il solo a scriverlo, di un regalo fatto a chi avrebbe dovuto salvarlo dal dissesto ma che, in realta', non si trovava in migliori condizioni dello stesso Banco.

Il Banco di Sicilia di oggi, ma quella e' solo una sigla che manterrà ancora per poco tempo, ha poco a che fare con il suo travagliato passato, ha infatti tutt'altra connotazione, tutt'altro stile, uno stile improntato a un professionalismo manageriale anonimo, che riduce tutto ai numeri, che non guarda in faccia nessuno, a cui, ci sembra, delle sorti del territorio non interessi più di tanto. Potrebbe, non me ne vogliano gli interessati, essere definito una dependance senza autonomia, popolata da un personale frustrato, e direttamente guidata da un grande fratello che da lontano, senza comprendere valori e pesi, indica linee aziendali (che a considerare come vanno le cose non sembrano poi essere cosi' brillanti), del gruppo stesso. Un istituto diverso, dunque, che anche per quanto sopra detto, perde perfino competitività rispetto a gruppi locali e che,mi si consenta la provocazione, sarebbe meglio che dismettesse subito quella sigla Banco di Sicilia, perché continuare a tenerla in vita, mi pare, costituisca ed e' in effetti e' tale, una provocatoria beffa per la nostra Sicilia.

Fonte: SiciliaInformazioni.com

Saturday, 26 March 2011

Sonia Alfano Blog: Omicidio Alfano, procura tramite tra mafia e servizi segreti

C’è un giudice a Berlino (e anche a Reggio Calabria)

La Procura della Repubblica di Reggio Calabria ha notificato al dr. Olindo Canali, già sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto e oggi giudice alla quinta sezione penale del Tribunale di Milano, l’avviso di conclusione delle indagini preliminari (qui allegato) per il delitto di falsa testimonianza aggravato dal fine di agevolare l’associazione mafiosa Cosa Nostra.

Il procedimento a carico del dr. Canali è nato dalla denuncia sporta dal mio avvocato, Fabio Repici, in conseguenza delle false dichiarazioni rese quale testimone (citato su richiesta della difesa del boss Gullotti) il 6 e il 15 aprile 2009 da quel magistrato davanti alla Corte di assise di appello di Messina nel secondo grado del processo Mare Nostrum. Nell’occasione Canali, mentendo, negò di avere redatto nel 2006 un memoriale sull’omicidio di mio padre, diverso da quello già acquisito dalla Corte, e negò pure, mentendo per la seconda volta, di avere ricevuto da mio padre confidenze sul duplice omicidio Iannello-Benvenga. Proprio per quel duplice omicidio Giuseppe Gullotti era stato condannato all’ergastolo in primo grado. La Corte di assise di appello, con la sentenza del 28 novembre 2009, assolse il boss Gullotti dal duplice omicidio.

Come ho ripetutamente denunciato, il dr. Canali è il principale responsabile dei depistaggi sull’omicidio di mio padre, compiuti fermando gli accertamenti alle responsabilità dei piani bassi della mafia barcellonese ed evitando che emergesse la causale principale dell’omicidio, collegata alla presenza a Barcellona Pozzo di Gotto dell’allora latitante Nitto Santapaola. Mio padre, come ammesso dal dr. Canali, gli aveva confidato di aver scoperto il covo del capomafia catanese. Nulla fu fatto e mio padre venne ucciso. E quando partirono le indagini, ad opera proprio del dr. Canali, quest’ultimo “dimenticò” le confidenze di mio padre su Santapaola. Dal fascicolo rimasero scientificamente fuori i nomi di Nitto Santapaola e di Rosario Cattafi, uomo che è da decenni il tramite fra la mafia catanese e barcellonese e i servizi segreti.

Dal fascicolo della Procura di Reggio Calabria sul dr. Canali emerge uno spaccato indecente su quel magistrato, sui suoi colleghi che hanno tentato di proteggerlo innanzi al Consiglio superiore della magistratura e sull’attuale Procuratore generale di Messina, il dr. Antonio Franco Cassata, vero e proprio tutore di Canali, che significativamente, in conversazioni intercettate dagli inquirenti, Canali e i suoi interlocutori appellano non con il nome ma con la locuzione “lo zio”, come nella Sicilia malavitosa solitamente viene etichettato un capobastone.

In questo momento il mio pensiero commosso, oltre che a mio padre, va al prof. Adolfo Parmaliana, vero e proprio martire della giustizia “barcellonese/messinese” dei Canali e dei Cassata. Forse, se oggi si inizia a fare luce sui criminali con la toga indosso, è effetto della sua tragica scomparsa.

Il prossimo passo sarà fare piena e definitiva chiarezza sull’omicidio del giornalista Beppe Alfano, sgombrando il terreno dalle coperture offerte dal dr. Canali ai vertici del sistema mafioso barcellonese.

24 marzo 2011

Fonte: Sonia Alfano Blog

Friday, 25 March 2011

SiciliaInformazioni.com: Massimo Costa, storia della "sutura" Siciliana, prima parte

Autonomia, impariamo a conoscerla 1/ Le radici storiche, i due primitivi Stati di Sicilia
24 marzo 2011

(Massimo Costa) Iniziamo con quest’articolo una serie di interventi divulgativi sui contenuti e sulla storia dell’Autonomia siciliana. Questi saranno relativamente brevi, per quanto si può, e si sforzeranno di dare ai lettori di questo giornale una parte di quella formazione civica e delle informazioni che ogni buon cittadino siciliano dovrebbe avere.

Il punto principale della storia dell’Autonomia siciliana è che essa non è un incidente
dei nostri giorni o anche degli ultimi 65 anni, ma è, per così dire, connaturata alla stessa storia millenaria della nostra isola.

La Sicilia è stata sempre considerata, sino al 1860, un paese a sé stante, una Nazione e – come molte altre nazioni – essa ha sempre avuto una propria formazione politica, uno Stato in pratica, a rappresentarla.

Più esattamente questa individuazione istituzionale univoca della Sicilia come “Paese” a sé stante, e diverso e distinto dalla stessa Italia, risale alla conquista romana, la quale diede per prima alla Sicilia un’amministrazione unitaria nei confini geografici dell’Isola.

Andando ancora più indietro si trovano solo “tentativi” di dare unità all’Isola, come brevemente accenneremo nell’articolo di oggi.

L’amministrazione romana era divisa in due “sub-province”: la Siracusana, direttamente dipendente dall’amministrazione provinciale del Pretore (così si chiamava il governatore nei primi tempi), e la Lilibetana, dipendente da un Questore a quello subalterno. In questa distinzione amministrativa, dalla quale sarebbero poi derivati, per frazionamenti ed accorpamenti vari, i “Valli” saraceni, poi i “Distretti” e infine le attuali “Province”, sopravviveva traccia di un’antica divisione politica.

La Sicilia Siracusana era direttamente erede del “Regno Siceliota”, l’antico Regno di Sicilia conquistato nella II guerra Punica; la Sicilia Lilibetana era invece direttamente erede della “Epicrateia punica” conquistata già nella I guerra punica.

Le due “province” erano dunque in realtà due “stati preunitari” che i Romani non avevano inventato; erano due amministrazioni che avevano trovato e di cui si erano impadroniti trasformandole in proprie colonie.

Quando erano nati dunque questi due primitivi stati di Sicilia?

Ecco, a parte il fatto che la documentazione non ci è pervenuta, e quindi che ci dobbiamo fidare delle testimonianze della storia e dell’archeologia, la “sorpresa” è che questi due stati non sono nati un bel giorno, ma lentamente nei secoli, quasi giorno dopo giorno, per progressivo accorpamento delle più antiche formazioni politiche, date dalle città-stato puniche e greche, nonché delle tribù indigene degli antichissimi abitanti della Sicilia.

I Puni, o Cartaginesi che è lo stesso, fondarono le loro piccole polis nell’VIII secolo quando i commercianti fenici, provenienti dall’attuale Libano ed appartenenti ad una delle tante popolazioni semitiche che abitavano allora il Vicino Oriente, che prima erano sparsi in empori lungo tutta la costa dell’isola furono costretti a concentrarsi nella parte di estremo occidente.

Però, per secoli, queste repubblichette oligarchiche erano appena sotto la protezione della vicina e potente Cartagine senza che questa esercitasse sulle stesse un dominio diretto.

Man mano che Cartagine si fece più presente in Sicilia questo rapporto diventò più diretto e in questa egemonia furono coinvolte anche le città-stato degli Elimi (un popolo indigeno dell’estremo ovest) e le tribù dell’interno le quali, sebbene con ogni probabilità avessero da secoli assorbito lingua e cultura analoga a quella delle tribù sicule dell’oriente, conservavano il nome Mediterraneo arcaico di Sicani, i primi abitanti della nostra Isola.

Fu durante le guerre persiane, ai tempi della battaglia di Imera (480) che molto probabilmente il coordinamento militare di questa “provincia” cominciò ad essere stabile. Ma solamente con il trattato tra Dionisio e Cartagine del 405 si parla espressamente di “provincia punica”, segno che a questo punto una qualche forma di amministrazione centralizzata dell’isola (nella parte cartaginese) doveva essersi creata, ferma restando l’autonomia federativa delle città e tribù che ne facevano parte.

I confini orientali di questa provincia furono mobili, con una tendenza a crescere nel tempo a discapito del Regno Siceliota: nei momenti di minimo i cartaginesi si rinserravano al Lilibeo, nei momenti di massimo (come poco prima della conquista romana) a nord erano arrivati a Messina e a sud a Gela. Spesso Agrigento aveva fatto da città-stato cuscinetto tra le due formazioni politiche: abbandonate le ambizioni politiche del V secolo, sotto i tiranni Emmenidi, la città dei templi poté dedicarsi all’arte e ai traffici lasciando a Punici e Siracusani il compito della politica. Ma anch’essa finì per essere risucchiata nell’Epicrateia Punica.

E veniamo all’oriente.

Qui il primitivo “Regno di Sicilia” ha una formazione lentissima, quasi impercettibile. I greci, infatti, erano organizzati all’inizio in Pòleis, l’un contro l’altra armate, e le città e principati siculi dell’interno copiarono questo tipo di organizzazione politica urbana.

Però già dal 650 a.C. circa, con le prime conquiste nell’interno, comincia a delinearsi una “egemonia” siracusana guidata dalla locale oligarchia.

Egemonia però è un termine che avevano inventato gli Spartani per definire la loro alleanza con le altre città del Peloponneso. Egemonia non è ancora stato.

Il primo passo avanti avviene nel 485: il tiranno di Gela, Gelone, conquista Siracusa ed unisce le due grandi città in un’unica signoria. Da allora in poi l’asse Siracusa-Gela sarebbe stato sempre solidissimo e, seppure ancora solo di fatto e non di diritto, la comunità siceliota assume una propria fisionomia politica non più municipale. Siamo sotto la tirannide dei Dinomenidi (Gelone, Ierone I,…).

La Repubblica moderatamente democratica che segue alla tirannide (la Politeia) continua la propria egemonia sull’isola, anche se questa viene insidiata da una nuova ed effimera formazione statale siciliana (455-450 circa), questa volta indigena: La Lega Sicula di Ducezio.

La Lega Sicula è importante perché i Siciliani per la prima volta nella loro storia superano ogni particolarismo tribale e danno vita ad una creatura politica, per quanto limitata agli originari abitanti dell’Isola, che ha un più ampio respiro.

Dura poco. I Sicelioti prevalgono sui Siculi e questo rinsalda l’egemonia siracusana. Con tutto ciò non si può ancora parlare di un vero e proprio stato siceliota.

Nemmeno la successiva tirannide dei Dionisi, sebbene rinforzi il controllo siracusano su gran parte dell’Isola, non è ancora la costruzione di uno stato. Eppure Dionisio il Vecchio fa certamente un passo avanti in questa direzione. Se il titolo di “Stratega Autocrate” valeva solo all’interno della polis siracusana, egli prende anche quello di “Arconte di Sicilia”, sorta di “Presidente del Commonwealth” delle polis siceliote. I possedimenti italioti sono organizzati a parte, dalla Corte di Locri e in una lega italiota separata. La Sicilia è ormai anche di nome, e non più solo di fatto, una realtà politica, una confederazione, se non proprio ancora uno stato.

La nuova Repubblica che segue istituzionalizza questo stato di fatto che poteva ancora sembrare legato al dispotismo di Dionisio.

Intorno al 340, ai tempi di Timoleonte, la Repubblica Siracusana raccoglie tutta la Sicilia greca in una Symmachìa Siceliota, ormai stabile organizzazione militare di raccordo dell’Isola (nella parte orientale ovviamente).

L’atto di nascita formale dello Stato di Sicilia avviene di lì a poco. Il nuovo tiranno, che seguirà nuovamente alla Repubblica, quel grande Agatocle che sottomise un terzo dell’Italia e portò la guerra contro Cartagine in Africa, cinge nel 304 il diadema con il titolo di Re di Sicilia. La città di Siracusa manteneva le sue assemblee e magistrature elettive, ma ormai il “Regno” era una cosa distinta e separata da quelle.

E questo Regno siceliota ebbe vita travagliata e alterna, con momenti in cui fu restaurata la Repubblica e momenti in cui la fragile unità centrale per qualche anno si dissolse, tornando all’antico municipalismo. Ma nel complesso non si tornò più indietro.

Anche Pirro, questa volta a Palermo, si sarebbe proclamato Re di Sicilia, con i cartaginesi asserragliati al Lilibeo, e, dopo di lui, ancora, Ierone II che per molti anni fu alleato e protetto dei Romani, ormai in un’enclave che andava da Taormina a Noto escluse.

Nel complesso, quindi, i Romani trovarono al loro arrivo una provincia punica e un Regno di Sicilia: in pratica due stati formati lentamente nei secoli e che semplicemente si limitarono a fondere nella Provincia di Sicilia.

Prima toccò all’occidente: l’Epicrateia punica fu trasformata in Provincia nel 240, ponendo proprio a “Marsala” (diciamo così) la base della prima amministrazione romana. Le tre città che teoricamente non ne facevano parte, in quanto “federate” di Roma, erano infatti proprio quelle ai confini della Provincia e/o strappate al Regno Siceliota: Messina, Noto e Siracusa. Lo stesso Regno Siceliota, da quel momento in poi, era un protettorato romano.

Ma dopo toccò pure al più ricco e importante oriente: caduta la monarchia, la Sicilia tentò di allearsi ai Cartaginesi per riacquistare libertà ed indipendenza. Marcello espugnò Siracusa nel 212 e gli ultimi focolai di resistenza furono spenti entro il 210.

Il Regno di Sicilia divenne quindi, senza soluzione di continuità, Provincia di Sicilia, con i Pretori romani seduti nella reggia dei Dinomenidi e dei Dionisi, con le stesse leggi ed usanze e con un vice-governatore in occidente ad amministrare gli ex-domini punici.

E così l’antico limes politico divenne solo frontiera amministrativa, fissandosi al Salso e alle Madonie.

Fonte: SiciliaInformazioni.com

Thursday, 24 March 2011

BlogSicilia.it: Agenzie rating, Autonomia Siciliana vale quanto stato

La società di rating assegna un voto alto alle finanze regionali
Standard & Poor promuove i conti del governo Lombardo

24 marzo 2011 - “L’assegnazione del rating A+ ed una previsione di stabilita’ sul periodo 2011/13 - eguali a quello dello Stato – confermano il riconoscimento del percorso di riequilibrio finanziario avviato dal Governo Lombardo. A partire alla Sanita’ sono stati conseguiti i primi risultati; occorre adesso proseguire nel risanamento economico, a partire dall’approvazione della finanziaria, ed avere cosi’ conti e carte in regola per negoziare un federalismo fiscale equo e solidale’.

Lo afferma l’Assessore dell’Economia Gaetano Armao, commentando la pubblicazione del rating di S.& P.

Il rapporto della societa’ di rating precisa come le particolari prerogative che scaturiscono dallo Statuto siano fattore chiave del rating, anche in relazione al co finanziamento dello Stato per circa il 50% sulla spesa sanitaria e come sia in corso il dibattito per maggiori trasferimenti dal governo centrale e dall’Europa per fondi infrastrutturali. Tutto cio’, a parere di S.& P. giustifica la previsione effettuata sulle performance futura della Sicilia.

Il rapporto motiva le proprie conclusioni a partire dal riequilibrio della spesa sanitaria e segnala l’opportunita’ di ulteriori interventi di risanamento. Sulla base delle prime stime di S. & P., il deficit e’ di circa il 5% delle entrate correnti e di circa il 6% per quelle in conto capitale, sul totale delle entrate nel 2010, un po’ di piu’ rispetto alle previsioni iniziali.

Pur evidenziando che la spesa corrente siciliana e’ rigida ed e’ cresciuta ad un tasso annuale del 2% nel periodo 2003-2010, si sottolinea che la crescita delle entrate ha subito una flessione negli ultimi 3 anni, nel contesto della recessione economica siciliana.

Le previsioni per il periodo 2011-2013 sono di stabilita’ anche in relazione ai previsti interventi di completamento del risanamento finanziario.

Fonte: BlogSicilia.it

Wednesday, 23 March 2011

Repubblica.it: Occidente con la bava alla bocca contro la Germania

LIBIA
Nato, lo strappo della Germania
ritira la Marina dal Mediterraneo

Berlino annuncia il ritiro della Bundesmarine dalle operazioni dell'Alleanza, dopo il no alle operazioni congiunte per imporre la no fly zone sulla Libia. Gli osservatori: un danno alla posizione negoziale, alla credibilità e all'immagine del Paese di Merkel e Westerwelle

dal nostro corrispondente ANDREA TARQUINI


BERLINO - Clamoroso strappo della Germania di Angela Merkel e Guido Westerwelle contro i partner della Nato e dell'Unione europea nella crisi libica: Berlino ha annunciato stasera a doccia fredda il ritiro della Bundesmarine, cioè la marina militare federale, dalle operazioni dell'Alleanza atlantica nel Mediterraneo. E alcune fonti e osservatori non escludono nemmeno che la scelta giunga fino alle estreme conseguenze, cioè al ritiro fisico delle due modernissime fregate pesanti della Bundesmarine, della navi appoggio e del personale militare tedesco dal Mediterraneo.

E' una decisione di cui politicamente e da un punto di vista diplomatico e geopolitico possono rallegrarsi soltanto la dittarura cinese, che col suo non appoggio alla no-fly zone delle Nazioni Unite ha cercato di rafforzare la sua offensiva per il controllo delle materie prime in tutta l'Africa e il suo ruolo di assertiva superpotenza, e la Russia di Putin che definisce "crociati" i piloti Nato che con i loro jet fermano i Panzer di Gheddafi in marcia verso le città per massacrare i civili e gli insorti.

Il "nyet" quasi da Urss brezneviana della Germania di centrodestra alle operazioni congiunte delle potenze Nato per imporre la no-fly zone in Libia e salvare i civili e i ribelli assume dunque forme sempre più estreme. Fin dalla settimana scorsa, la cancelliera Angela Merkel (Cdu, democristiana) e il vicecancelliere e ministro degli Esteri Guido Westerwelle (Fdp, liberale) avevano spiegato che la loro coalizione di
centrodestra vede con troppa preoccupazione i rischi della missione, e che quindi non solo si è astenuta per questo motivo - insieme a Cina e Russia - al voto sulla risoluzione sulla no-fly zone al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, ma soprattutto non avrebbe partecipato alle azioni francesi, britanniche, americane, italiane e di altri paesi Nato contro le armate massacratrici di Gheddafi.

"Ora forse qualcuno capirà che avevamo ragione", ha detto in sostanza Westerwelle, non senza saccenza. Lo stesso atteggiamento con cui domenica, dopo aver confermato la non partecipazione tedesca a missioni in cui i piloti italiani, britannici, francesi, americani, danesi rischiano la vita, aveva consigliato ai paesi della coalizione di "non impantanarsi in una missione lunga".

"Mi vergogno per l'atteggiamento del mio paese", aveva scritto ieri sulla Sueddeutsche Zeitung l'ex capo di Stato maggiore (tedesco) della Nato, generale Klaus Naumann. Ancor più duro era stato l'ex ministro degli Esteri ed ex leader dei Verdi Joschka Fischer oggi sullo stesso giornale: la posizione tedesca è scandalosa, la mancanza di solidarietà con gli alleati e con la popolazione civile libica è una farsa assurda. Fischer al governo (1998-2005) decise in nome dei diritti umani la partecipazione militare tedesca all'azione Nato in Bosnia e poi in Kossovo per fermare i massacri delle soldataglie del dittatore serbo Slobodan Milosevic.

Oggi la musica è cambiata a Berlino. Spettacolo triste, autofinlandizzazione, appeasement verso chi come Pechino e Mosca appoggia i dittatori e fa affari d'oro specie nell'energia con la Germania. Linea politica defilata da quella degli alleati ma solo annunciandola, senza spiegazioni articolate e ragionate. Ventun anni dopo la caduta del Muro e la riunificazione tedesca che senza il Piano Marshall americano decisivo per la ricostruzione della Germania ovest, senza decenni di protezione militare angloamericana per Bonn, senza l'appoggio di Bush senior (e la rivoluzione polacca) non sarebbero state possibili, la Germania riunificata e assertiva si dà da sola nuovi standard. Vuole essere potenza mondiale quando chiede un seggio permanente tra i Grandi al Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite (e dice che l'Italia invece non lo merita), vuole dettare a tutta l'Unione europea e all'Eurozona i criteri di tagli ai bilanci pubblici e di solidità monetaria, chiede a tutta l'Europa mediterranea ancor più sforzi contro l'immigrazione clandestina, borbotta e mugugna contro l'Europa unita tacendo che nessun'economia profitta più di quella tedesca del mercato unico europeo. Ma quando poi è il momento delle scelte difficili e rischiose, si tira indietro, come una grande Svizzera, un paese che finisce per contare molto meno non solo rispetto a Regno Unito e Francia ma anche all'Italia di Berlusconi. Fonti occidentali, europee e atlantiche sottolineano che il danno arrecato dalle scelte di Merkel e Westerwelle alla posizione negoziale, all'immagine e alla credibilità della Germania nel consesso delle democrazie è ogni giorno più serio.

(22 marzo 2011)

Fonte: Repubblica.it

TempoStretto.it: Ponte, comune Messina firma accordi per espropri

Ponte. Tappa messinese di Ciucci: siglati gli accordi su espropri e localizzazione dei cantieri

L’amministratore delegato mette le mani avanti sulla delibera relativa alle opere compensative approvata dal Consiglio comunale un anno fa:« la esamineremo, ma serve la copertura economico-finanziaria». Su download la copia dell'accordo sugli espropri
22/03/2011


Quasi un blitz quello della amministratore delegato della società Stretto di Messina, Pietro Ciucci,il cui arrivo in città è stato annunciato all’alba di oggi (ore 6,30) tramite sms dell’ufficio stampa del Comune . Una visita già programmata, ovviamente, ma chissà perché pubblicizzata ufficialmente solo poche ore prima dell’incontro che si è tenuto a palazzo Zanca. Al centro della tappa messinsese di Ciucci la stipula di tre diversi accordi, due dei quali con il Comune ed uno con le Università di Messsina e Reggio Calabria. Nella casa comunale è stato siglato sia l’accordo sulle procedure e metodologie da adottare per la determinazione delle indennità di espropriazione per la realizzazione del ponte sullo Stretto che l’accordo procedimentale per la gestione delle aree di cantiere e dei siti di conferimento delle terre, che interesseranno il territorio comunale.

Ma andiamo con ordine ed entriamo nel

dettaglio dei documenti. L’accordo sugli espropri, che si compone di 19 articoli, mira a favorire il rapporto di collaborazione tra l’espropriato e l’espropriante ed evitare qualsiasi forma di contenzioso. L’accordo stabilisce i criteri e le formule per la determinazione delle indennità, comprese quelle riguardanti gli immobili “frontisti”, ovvero non espropriati ma soggetti a fattori di disturbo del libero esercizio del diritto di proprietà, quando la loro adiacenza alle opere ne determini una minus-valenza patrimoniale. Tali fattori tengono conto dei seguenti aspetti: diminuzione della luminosità e del soleggiamento; inquinamento acustico; vibrazioni; ridotta funzionalità della viabilità di accesso agli immobili; ridotta fruibilità del contesto panoramico ed ambientale. Al fine di offrire garanzie in termini di trasparenza procedurale, conforme alle norme e verificabile da un organismo esterno, è prevista l’istituzione di un apposito Osservatorio al cui interno saranno rappresentati il Comune, le Associazioni di categoria, la Stretto di Messina ed il Contraente generale, per il puntuale monitoraggio della corretta applicazione dell’Accordo. Sull’atto è stata apposta la firma del sindaco Giuseppe Buzzanca, di Ciucci, dell’Amministratore delegato di Eurolink, Michele Leone. In rappresentanza delle associazioni di categoria ha firmato il Presidente Provinciale Coldiretti, Giuseppe Piccolo, il Presidente provinciale dell’Unione Piccoli Proprietari Immobiliari, Carmelo Correnti, il Presidente dell’Associazione Sindacale Piccola Proprietà Immobiliare territoriale, Pietro Ruggeri.

Nel corso della conferenza stampa, Buzzanca ha sottolineato “l’importanza strategica che il Ponte riveste per lo sviluppo del Sud e quindi dell’intero Paese ed ha aggiunto che la firma dell'accordo è un ulteriore passo verso le esigenze e le aspettative della comunità messinese, che l'Amministrazione comunale ha sempre posto come prioritarie per la realizzazione delle infrastrutture ricadenti nel comprensorio messinese”. E proprio a proposito di infrastrutture , non vi è ancora alcuna certezza sulla realizzazione delle opere compensative indicate dal Consiglio comunale nella delibera votata a gennaio del 2010, a proposito della quale Ciucci afferma: “la esamineremo, ma serve la copertura economico-finanziaria”. Anche sul numero degli espropri, oggetto dell’accordo firmato oggi, Ciucci non riesce ad essere più preciso: “ saranno circa un centinaio in termini di ditte e comunque più del doppio rispetto a quelli nella sponda calabra”. Manca ancora una stima ufficiale, come del resto - ricordiamolo - manca ancora il progetto definitivo del Ponte.

Passiamo adesso all’altro accordo, quello relativo alla gestione delle aree di cantiere. L'obiettivo dell'atto è di concordare e regolamentare con il Comune di Messina la localizzazione dei siti di cantiere e di conferimento delle terre e rocce da scavo provenienti dai cantieri del ponte sullo Stretto di Messina, nonché la sistemazione finale dei siti stessi per la loro riqualificazione ambientale e la consegna agli Enti Locali. In particolare, l’Accordo individua e definisce con patto formale le intese raggiunte dalla Stretto di Messina con il Comune per la migliore ubicazione dei luoghi (siti di cave dismesse, aree compromesse), dove portare le terre provenienti dagli scavi in modo che, una volta completati i lavori, tali luoghi possano diventare patrimonio cittadino per l’utilizzo a parchi e oasi di verde attrezzate senza oneri per il Comune, che li prenderà in carico. Nello stesso accordo viene dato atto dell’intesa raggiunta tra le parti anche in ordine alle modalità di gestione dei cantieri operativi ed agli itinerari per la movimentazione dei materiali in entrata ed in uscita in modo che siano percorse strade esistenti o da realizzare nell’ottica del minor impatto possibile sulla viabilità locale. Tutte le aree occorrenti in corso d’opera per i cantieri operativi, percorsi stradali di nuova realizzazione ed i siti di conferimento terre saranno intestate al patrimonio immobiliare del Comune.

Copia accordo sugli espropri

Fonte: TempoStretto.it

Tuesday, 22 March 2011

SiciliaInformazioni.com: Lampedusa, primo incidente tra abitanti ed immigrati

Assaltato un camion con viveri a Lampedusa
De Rubeis: "L'immigrato, se braccato diventa pericoloso"

22 marzo 2011

"Ieri uno dei direttori della cooperativa 'Lampedusa accoglienza', che gestisce il centro di accoglienza si e' sentito male, perche' e' stato scaraventato a terra dagli immigrati, che avevano assaltato il camion con i viveri. I volontari, che stavano distribuendo il cibo, hanno avuto paura e sono scappati". A raccontarlo all'AdnKronos e' il sindaco di Lampedusa, Dino De Rubeis, che aggiunge: "E' un episodio grave, che non si era mai verificato sull'isola e che testimonia come l'immigrato che si sente braccato diventa pericoloso".

"C'e' esasperazione anche tra i migranti - assicura il primo cittadino - molti dei quali non sono ancora stati identificati e le forze dell'ordine, nonostante stiano dando il massimo, non sono sufficienti. E' necessario che il centro di accoglienza e l'isola stessa siano 'svuotati' entro 72 ore. Bisogna trasferire immediatamente gli extracomunitari, altrimenti - conclude De Rubeis - potrebbe accadere il peggio".

Fonte: SiciliaInformazioni.com

La Sicilia: Il punto sulle ferrovie in Sicilia

Il progetto sarà quello della Regione e il tracciato
passa per Enna e Caltanissetta: costerà un miliardo

Catania-Palermo in treno sarà «opera prioritaria»
Per l'investimento c'è anche un'intesa Matteoli-Tremonti
Giovedì 17 Marzo 2011


C'è una novità interessante: la Regione e le Ferrovie si troverebbero d'accordo nel mettere a mollo il megaprogetto della Catania-Palermo e adottare quello più «ragionevole», il cosidetto progetto della Fondazione Sabir sponsorizzato dalla Regione. Come ricorderete, le Ferrovie avevano uno studio di fattibilità inoltrato al Cipe che prevedeva un tunnel di 43 chilometri sotto le Madonie, una spesa di 5 miliardi, tempi ventennali e tra l'altro il percorso avrebbe scavalcato il centro Sicilia, cioè Enna e Caltanissetta. La Regione invece proponeva un tracciato che passava per Enna e Caltanissetta, una spesa di un miliardo e lavori per 5 anni, tempo di percorrenza accettabile di un'ora e 50 minuti, senza bisogno di bucare le montagne. Ora su questo progetto portato avanti dall'assessore Pier Carmelo Russo e dal direttore generale dei Trasporti Vincenzo Falgares s'è trovato finalmente d'accordo anche il gruppo ferrovie. «Proprio l'altro giorno i tecnici dell'Italfer - dice il direttore Falgares - avrebbero definito l'alternativa al progetto Moretti, cioè hanno adottato il progetto sostenuto dalla Regione, che sarebbe il progetto della Fondazione Sabir, ma con dei miglioramenti. Le Ferrovie avrebbero messo da canto il cosiddetto progetto del Valico delle Madonie con perforazione delle montagne per un più ragionevole doppio binario fino alla stazione prossima al Dittaino per poi ricollegarsi al rifacimento della Roccapalumba-Fiumetorto che è in corso di realizzazione e poi da lì l'innesto con la Cefalù-Punta Raisi che è in lavorazione. La prossima settimana incontrerò il dirigente del settore investimenti di Rfi per dettagliare il progetto, costi, tempi e quant'altro. L'importante è che ci sia una inversione condivisa di tendenza dell'abbandono progressivo dell'ipotesi originaria delle Ferrovie nei confronti della quale non dico che ci siamo messi di traverso, ma verso la quale eravamo cautamente perplessi. Oggi ci sono delle cose sulle quali governo regionale e governo nazionale convergono. Le risorse che noi sosteniamo sono state proditoriamente sottratte alla Regione il governo vorrebbe riassegnarle sulla priorità della Palermo-Catania, alla quale potremmo sommare alcune risorse che noi abbiamo a disposizione: così si potrebbe fare un primo importante intervento da circa un miliardo e mezzo in breve periodo. Aggiungo che di recente il ministro delle Infrastrutture Matteoli ci ha fatto sapere di avere raggiunto in proposito un accordo con il ministro Tremonti».

A che punto è il trasferimento del servizio ferroviario alla Regione?

«Siamo in attesa delle firma del solito ministro Tremonti. Il governo di Roma aveva accolto la nostra proposta di sottoscrivere l'accordo del trasferimento delle competenze con le risorse per l'esercizio del trasporto ferroviario regionale versando alla Regione 111,5 milioni di euro. Circa 8 milioni di euro in meno del fabbisogno reale attuale, e quindi parliamo di un fabbisogno minimo. Però, bene o male, potremmo cominciare un piano di investimenti, ci sono in corso alcuni interventi che sono ormai in avanzato stato di realizzazione, come il raddoppio da Castelbuono a Punta Raisi, il completamento da Patti a Messina, interventi che si stanno facendo sulla Palermo-Agrigento, ci sono alcuni lavori che oggettivamente da qua al 2017-2018 potranno dare una prospettiva di alternativa seria, perché ragionevolmente Palermo sarà collegabile con Messina in meno di due ore, Punta Raisi con Cefalù in 35 minuti. E se partono i cantieri della Catania-Palermo entro il 2017 potremmo stare molto meglio di adesso, almeno questo è il programma».

Qual è la situazione dei «minuetto»? Si diceva che erano spariti, che non si sapeva che fine avessero fatto.

« Tranquilli, dei 40 Minuetto 37 sono in esercizio su tutte le reti ferroviarie regionali, tre sono in manutenzione. Non è sparito nulla».

Tony Zermo

Fonte: La Sicilia

Sunday, 20 March 2011

Repubblica.it: Astensione voto ONU, attentato alla Merkel?

Paura in cielo per la Angela Merkel
l'elicottero rischia di schiantarsi

Tragedia sfiorata, al velivolo con il cancelliere tedesco si fermano le turbine e perde improvvisamente quota. Ripreso il controllo a 100 metri da terra

BERLINO - Paura nel cielo per Angela Merkel, il cancelliere tedesco. L'elicottero della polizia sul quale viaggiava mercoledì scorso è stato sul punto di schiantarsi al suolo, scrive stamane la Bild Am Sonntag, il domenicale della Bild: entrambe le turbine dell'elicottero, un superpuma 332, si sarebbero bloccate quando il velivolo era ad un'altezza di circa 1600 metri facendolo precipitare verso il basso; solo a cento metri da terra il l'equipaggio è riuscito a rimetterle in funzione.

Angela Merkel era in viaggio tra la Sassonia e il Baden-Wuerttemberg per la campagna elettorale. Le cause dell'incidente non sono affatto chiare, aggiunge il domenicale. L'ipotesi del sabotaggio è al momento esclusa.

Fonte: Repubblica.it

Saturday, 19 March 2011

Grandangolo-Online.it: La drammatica situazione di Lampedusa

Lampedusa, De Rubeis invita alla calma
Sabato 19 Marzo 2011 00:12

“Lo stato di agitazione che in queste ore attraversa la popolazione di Lampedusa, scesa in piazza a protestare per difendere il proprio diritto di sopravvivenza, è legittimo. Uomini, donne e bambini sono esasperati, stanchi di essere violentati nel loro diritto di sopravvivenza dalle decisioni del governo, che ha trasformato Lampedusa nella piattaforma logistica del Mediterraneo per la raccolta dei profughi. Stiamo assistendo ad un esodo di immigrati irregolari che vincono recuperati dalle forze dell'ordine e portati, non si capisce con quale obiettivo, sull'isola: "le navi militari - dichiara il sindaco de Rubeis - giunte nel porto con gli immigrati partano immediatamente verso la terraferma, come accadeva per volontà del ministro Maroni nel 2009 e 2010, al fine di scongiurare problemi di sicurezza portuale ed ordine pubblico tra cittadini residenti, immigrati e forze dell'ordine. Esorto tutti alla prudenza ed alla calma nel rispetto della legalità, ma invito il governo nazionale per tramite del Commissario a mettere in atto tutte le azioni che evitino l'esasperazione della popolazione". "La legalità - prosegue De Rubeis - peraltro, è già violata dalla libera circolazione di centinaia di tunisini senza alcun documento identificatorio. Ribadiamo il no alla tendopoli e l'esigenza dell'immediato trasferimento dei 3.000 tunisini sull'isola per garantire anche a loro la dignità umana minima e il rispetto delle condizioni igienico sanitarie minimali. L'utilizzo della marina per trasportare direttamente dalle zone di raccolta alla terraferma dei profughi diventa irrinunciabile". Il sindaco De Rubeis che si trova a Palermo per esigenze inderogabili di salute abbraccia i suoi concittadini manifestando la propria vicinanza. Anche l'assessore alla programmazione economica e al turismo Pietro Busetta, interviene: Gli ultimi avvenimenti che si stanno verificando su Lampedusa dimostrano lo stato di disagio in cui versa la popolazione. Tale situazione porta un danno irreparabile non solo all’economia dell'isola ma anche alla serenità complessiva della popolazione che dovrebbe prepararsi all'estate. Si trovino soluzioni alternative dalle navi militari San Giorgio o San Marco, a delle navi crociere da affittare che sbarchino i profughi direttamente a Genova o a Trieste . Se proprio vi è l'esigenza di una piattaforma logistica, che il governo attrezzi l'isolotto di Lampione come campo profughi. Tutto tranne che la soluzione di devastare il territorio di Lampedusa e Linosa, che non possono farsi carico dei problemi del Mediterraneo. Nel momento del bisogno si sbraccino tutti: Malta, Pantelleria, la Brianza. Il problema è del paese e non se lo può caricare Lampedusa. Dalle Alpi a Lampedusa, il paese dice il presidente Napolitano è uno? Lo dimostri". Durissimo il consigliere dell'amministrazione comunale di Lampedusa e Linosa Davide Masia, nonché capogruppo dei consigliere di maggioranza che dichiara: “La situazione di Lampedusa è diventata insostenibile. Bene fa la popolazione di fronte all'assenza dello Stato a protestare. Si trovino soluzioni alternative con navi militari, con navi crociere, ma basta con questo massacro dell'isola. Il paese si sta confondendo di fronte a poche migliaia di profughi. Si trovino soluzioni serie e si attivi il commissario con soluzioni praticabili ed evitiamo l'improvvisazione". Intanto la Cgil attraverso il segretario provinciale, Mariella Lo Bello parla di gravi responsabilità del Governo: “Nella storia decennale degli sbarchi a Lampedusa non era mai successo che gruppi di cittadini ostacolassero, al molo Favaloro, l'attracco di una motovedetta della Guardia costiera che ha soccorso 116 migranti, tra i quali anche ammalati e minori. E’ il segno preoccupante che oltre non è possibile chiedere ad una popolazione che deve convivere con una presenza di migranti che è andata oltre ogni limite di sopportazione e che pone gravi rischi di sicurezza, di salute, di convivenza civile. La soluzione prospettata dal Governo (la tendopoli!) è davvero surreale e non tiene conto della criticità della situazione che si è venuta a determinare! La “bomba Lampedusa” va disinnescata immediatamente! Il Governo Italiano che ha colpevolmente consentito che crescesse a dismisura il numero degli ospiti del Cie e attizzato i peggiori istinti, deve procedere con estrema urgenza a far ritornare la situazione entro limiti accettabili. Lo faccia usando tutti i mezzi a disposizione e smetta di alimentare strumentalmente questa situazione per tornaconti politici fuori luogo o per “battere cassa” in Europa. La Cgil è con Lampedusa, con i suoi abitanti e con le sue legittime esigenze ed aspettative di sviluppo; è a fianco dei migranti che scappano da guerre, fame e disperazione ed hanno il diritto di essere trattati come essere umani e non ammassati in campi-lager; è a fianco degli operatori e delle forze dell’Ordine costretti ad una situazione insostenibile. Tutto questo deve finire e presto, anche in ragione della pericolosa escalation che sta per avere la situazione libica dopo la risoluzione dell’Onu: occorre trovare strumenti ordinari che evitino che Lampedusa diventi un contenitore esplosivo di un’umanità sofferente.

Fonte: Grandangolo-Online.it

Monday, 14 March 2011

RussiaToday.com: Cristianesimo in Iran [Traduzione Il Consiglio]

“Chiunque in Iran può comprare il Nuovo Testamento”

Solo pochi giorni fa abbiamo visto come il conflitto tra due piccole famiglie del villaggio in Egitto è stato trasformato in una grande manifestazione al Cairo. Perché vediamo queste cose e non vediamo quando cristiani e musulmani vivono in pace?

I media occidentali non sono familiari con il fenomeno del reciproco rispetto tra le religioni cristiana e musulmana. Il fenomeno esiste, però: cristiani e musulmani hanno mostrato la loro unità nel corso delle tre settimane di manifestazioni di protesta in Egitto. Le televisioni occidentali hanno evitato l'argomento. I cristiani sono stati rispettati nel mondo musulmano negli ultimi 14 secoli. Un gruppo di giornalisti di RT ha visitato i templi di tre comunità cristiane in Iran e ha registrato i racconti cristiani sulla loro vita nella Repubblica islamica.

Il sacerdote della Chiesa assira Rien Issa è stato trasferita a Teheran dal Vaticano due mesi fa a seguito di un corso di formazione di sei mesi. Rien è un iraniano, fluente in persiano e in lingue europee. Si rifiuta di parlare alla telecamera, ma la nostra conversazione a microfono spento va ben oltre la cornice di cinque minuti che ho inizialmente fissato.

“Il nostro grande tempio si riempie raramente. Una larga parte della congregazione ci ha lasciato. Gli Stati Uniti stanno facendo tutto il possibile per spingerli a lasciare l'Iran. Semplificano le procedure. Vanno a Vienna ad aspettare da 3 a 5 mesi. Ognuno di loro viene pagato. Gli viene promesso tanto. Persone speciali lavorano con i nostri cristiani. Li spingono a fare certe cose. I giovani sono d'accordo, specialmente se hanno problemi a trovare un lavoro. Molti di loro si rammaricano delle loro decisioni. Molti ci scrivono dagli Stati Uniti e ci dicono di avere fatto un grosso errore. E' difficile per loro tornare, perché di solito vendono le loro case. Quasi tutte le famiglie che vivono all'estero mandano i loro figli qui per le vacanze di mantenere il loro legame con la patria”, ha detto Rien.

I servizi sono condotti in assiro, alcune preghiere vengono lette in persiano. Issa domani partirà per la città di Ahvaz, nel sud.

“Ci sono 25 famiglie lì in attesa di un sacerdote. Il nostro vescovo è attualmente a Roma, l'altro sacerdote è ad Hamedan, quindi devo viaggiare. Abbiamo otto diocesi in Iran. Due convitti, e due scuole per ragazze e ragazzi. La maggior parte degli studenti sono musulmani. Apprezzano l'educazione che diamo. Insegniamo le lingue e disponiamo di un corso di computer.”

A differenza dei cattolici in Occidente, i sacerdoti della chiesa assira hanno il permesso di sposarsi.

“Non importa se sei un monaco o no, se vivi come un monaco nel tempio. Anche il vescovo abita qui. Lo stesso fa un altro sacerdote in pensione. Quelli sposati vivono al di fuori.”

Il mio intervistato è stato chiamato come Gesù Cristo [Issa, ndr]. I musulmani danno spesso ai loro figli il nome Cristo dato che venerano il messia cristiano come un profeta.

“Un sacco di musulmani vengono qui a pregare. Hanno messo su candele. Maria è il ponte tra cristianesimo e islam, sai. Loro non stanno cambiando la loro religione, anche se alcuni di loro a volte si rivolgono a noi per una carta che dice che sono i cristiani in modo da poter andare all'estero”, dice il prete.

“Ho 33 anni. E' una buona età per un cristiano”, dice Issa. “Sì, siamo una minoranza. C'è ne sono solo 7.000 di noi e non possiamo, per esempio, marciare per le strade in processione liturgica. Ma sai, io non indosso il mio abito sacerdotale o il colletto a Roma. Ma lo faccio in Iran. Sento che la gente ha grande rispetto per il fatto che io sono un cristiano, un prete e un monaco.”

La ragione per cui i musulmani non si preoccupano delle croci

Le croci sulla Chiesa di San Sarkis possono essere viste da lontano, in risalto dietro un ritratto dell'Imam Khomeini. Gli abitanti di Teheran non pensano chi ci sia nulla di strano in tutto questo. Solo un professore musulmano con il quale guidando abbiamo passato la chiesa non può credere ai suoi occhi, così dobbiamo fare una inversione a U e oltrepassarla nuovamente, dandogli l'opportunità di fare una foto, opportunità che usa volentieri. Ci ha chiesto chi è quello nella foto. Dopo che gli è stato detto che il ritratto è quello del leader della rivoluzione islamica, ha chiesto all'autista di fare un'altra inversione di marcia per assicurarsi che la chiesa è lì e non è lui vedere le cose.

Il tempio di San Sarkis ha un giardino enorme davanti e decine di posti auto, tutto pieno. Nelle vicinanze si trova un memoriale per il genocidio armeno. Un auditorium arioso è pieno di ragazze a capo scoperto, che chiacchierano in inglese.

Sebos Sarkisian, Capo della Cancelleria della chiesa, chiaramente non vuole parlare con me, ma io ho un documento dell'Ershad (Ministero della Cultura e dell'Organizzazione dell'Orientamento Islamico).

I membri della congregazione e del clero si affacciano nella stanza di volta in volta, ma se ne vanno in fretta. Metto fuori la macchina fotografica. Mr. Sarkisian fa un gesto deciso: non ci permetterà di scattare foto. Lui sarebbe felice di sbarazzarsi di me, ma la lettera dell'Ershad mi permette di fare domande.

Solo un anno fa la gente nella chiesa stessa mi avrebbe parlato senza guardarsi le spalle. Ora non diranno una parola, anche se ho il permesso ufficiale. La prima volta che sono venuto in Iran lavoravo per un giornale. Ora sto lavorando per un canale televisivo. Ho potuto vedere molto bene quanto gli iraniani siano stanchi dei giornalisti che gli dicono una cosa e poi mostrare qualcosa di completamente diverso.

“Non essere offeso. Sai, la televisione occidentale può fare apparire anche nei filmati più innocui, come se le persone vengano discriminati qui. Avete mai visto un cristiano perseguitato in Iran?” mi chiede una ragazza, schivando la mia macchina fotografica.

“La chiesa più antica in Iran è stata costruita nel 1° secolo DC. Si chiama Karakilisa, che significa "Chiesa Nera." La chiesa ospita le spoglie di San Tatevos (noto a noi come San Giuda l'apostolo [Giuda Taddeo e non Giuda Iscariota, ndt] )”, dice Sebos Sarkisian, inducendomi a dormire ma tenendo un occhio su quello che sto scrivendo.

“I cristiani vivevano in Isfahan quando era ancora la capitale. Il terreno e le condizioni di vita lì sono molto buone. I Cristiani sempre preso parte alla vita pubblica. Perché Cristo ha detto di amarci e rispettarci l'un l'altro, avete sentito parlare di questo?”, non sembra sicuro del fatto che ci siano persone al di fuori dell'Iran, che seguano gli insegnamenti di Cristo. Gli dico che sono stato a Isfahan e che so come gli armeni vivano lì, ma questo non cambia per nulla il suo atteggiamento vigile.

“I cristiani hanno preso parte alla guerra con l'Iraq. Avete sentito parlare di quella guerra? Abbiamo oltre 100 shahid e più di 100 persone scomparse. Circa 30 sono stati gravemente feriti e resi invalidi Gli shahid sono martiri. Avete sentito parlare di martiri cristiani?”. La sua impressione dei giornalisti sembra molto chiara.

Ho letto nei libri che ci sono circa 215.000 cristiani in Iran. Forse anche 300.000? È vero?

Mr. Sarkisian sembra stupito del fatto che io legga dei libri. Si avvicina al suo armadio, tira fuori un paio di tomi pesanti e mi presenta una enciclopedia armena.

“Abbiamo due deputati in parlamento, una dalle province del sud e uno dal nord”, sembra cambiare idea all'ultimo minuto se chiedermi se avevo mai sentito parlare dei parlamenti.

Mi dice che le chiese cristiane in Iran sono costruite per ospitare fino a 750 fedeli.

“Ma dai!” sussurro. Per fortuna, il nostro traduttore sceglie di lasciare che queste parole scivolino via.

Sarkisian si impegna a spiegare a me che c'è un libro chiamato Costituzione, un libro di leggi a tutela delle comunità religiose.

“Sapete che cosa è una costituzione?”, Chiede.

“Abbiamo scuole cristiane, le scuole armene finanziate dallo Stato. La nostra chiesa da sola ha 24 scuole a Teheran, e abbiamo anche asili”

Sebos Sarkisian continua con orgoglio.

“Abbiamo anche la nostra palestra, e lo Stato ha assegnato fondi per dotarla di una stanza di preghiera, una namaz-Khaneh [un luogo all'aperto per la preghiera e la contemplazione, ndt]”.

“Non si preoccupi, sa che cosa è una stanza di preghiera, sa anche che cosa è una namaz”, dice il mio traduttore. Io sono autorizzata a entrare in chiesa.

"Le chiese sono esenti da tasse in Iran"

La domenica è un giorno lavorativo in Iran, ma la Cattedrale ortodossa di St. Nicolas, una delle 40 chiese cristiane, è aperta.

“Negli ultimi sei mesi abbiamo avuto i servizi sia il venerdì che la domenica, è conveniente per la gente”, dice il guardiano della chiesa Emmanuil Shirani, un discendente di emigrati bianchi da San Pietroburgo.

“Gli iraniani vengono spesso qui - il nostro servizio è in russo, e lo trovano interessante”, dice Shirani con un netto accento di una San Pietroburgo pre-rivoluzionaria. Questo è il russo che si parla nella sua famiglia.

“La Bibbia è stata disponibile in persiano sin da prima della rivoluzione - è allora che fu tradotta per la prima volta, da allora ci sono state alcune nuove edizioni e delle nuove traduzioni. L'Ershad assicura che sia disponibile. Si trova in vendita come ogni altro libro”, continua Shirani, aprendo un libro della Bibbia appena stampato in persiano per farmi vedere.

“Come ogni altra comunità religiosa, siamo esenti da imposte. Le autorità locali ci stanno aiutando. Ad esempio, organizzano consegne di cibo per gli anziani nel nostro ospizio. Mandano i giardinieri per curare i nostri giardini. Abbiamo il diritto a pagare una tariffa speciale per l'energia elettrica, proprio come le moschee”, dice il guardiano.

“Il nostro ospizio ospita attualmente 30 anziani, e la nostra mensa può servire loro ed altre 60 persone. Le autorità della città ci aiutano con le assicurazioni; pagano per i servizi di medici e cuochi. Alcuni medici ci aiutano a titolo gratuito, altri chiedono la metà - e lo fanno per rispetto per i cristiani, questa è la tradizione qui” dice Emmanuil Shirani, salutando un gruppo di anziani dell'ospizio di ritorno da una passeggiata.

“Ci avvaliamo di un principio di Robin Hood: paga chi se lo può permettere e manteniamo gratis quelli che non possono”, afferma.

Grigory è quello che cura la chiesa. Ha 89 anni. E' nato nella Russia sovietica nel 1922, e la sua famiglia si trasferì in Iran quando aveva 5 anni - hanno lasciato Baku via mare. Suo padre era un ufficiale dell'esercito, e sua madre proveniva da una famiglia benestante. Oggi ha tre figlie e molti nipoti. Ha visitato la Russia solo due anni fa.

Mentre stiamo parlando, un paio di dozzine di persone giovani entra in chiesa, sia parrocchiani che visitatori, famiglie provenienti da Ucraina, Russia e Bielorussia.

“La nostra chiesa è stata costruita nel 1944 dai cosacchi. Poi, quando c'è stata l'invasione anglo-sovietica , numerosi parrocchiani sono fuggiti in Australia. Dopo la guerra la chiesa fu chiusa e riaperta nel 1990. In questi giorni, abbiamo circa 60-70 persone provenienti per la Pasqua. Gli anziani continuano a morire, ecco perché”, spiega Grigory, sfogliando le sue foto di famiglia.

Nadezhda Kevorkova, RT


Vedere per credere


Fonte: RussiaToday.com

MessaggeroVeneto.it: Parlamento, Lega definisce militari meridionali "mercenari" inaffidabili

Governo battuto alla Camera sugli incentivi per il reclutamento di alpini del Nord
Il Pd: è uno spot per il Settentrione. La Lega infuriata: «Volete mercenari»

[Non solo paga più alta per i militari del nord, ma anche un ritorno ai tempi di Fenestrelle, quando i soldati dell'esercito borbonico, in quanto "stranieri" ed inaffidabili furono internati in un lager e sterminati, ndr]

ROMA. La maggioranza è stata battuta oggi in Aula alla Camera. Per nove voti, l'Assemblea ha deciso di rinviare in commissione Difesa la proposta di legge sugli incentivi per favorire, nelle regioni dell'arco alpino, il reclutamento di militari volontari nei reparti delle truppe alpine. La richiesta era partita dall'ex sottosegretario Ettore Rosato, del Pd.

Il Pd commenta con Dario Franceschini. "Il voto di oggi, che ha fortunatamente rinviato in commissione un provvedimento sbagliato e iniquo, ha dimostrato che la maggioranza in aula è in grado di esserci solo per i voti di fiducia a per i provvedimenti che riguardano i processi di Berlusconi. Appena i ministri e sottosegretari non sono in aula, la maggioranza si dissolve e l'allargamento che hanno raccontato è inesistente e inutile". Carmelo Briguglio parla di "Vietnam parlamentare". "Oggi c'è stato il primo caso - dice il vice capogruppo di Fli alla Camera -, ma è la maggioranza che se lo fa da sola con le assenze dei suoi deputati. E siamo solo all'inizio...".

La proposta di legge, sintesi di due proposte, rispettivamente, del Popolo della Libertà, primo firmatario Edmondo Cirielli, Presidente della Commissione difesa, e della Lega Nord, primo firmatario Davide Caparini, apparentemente tecnica, suona in realtà come un'integrazione al federalismo fiscale che alcuni osservatori hanno collegato all'idea leghista di un "esercito del Nord". Secondo la proposta di legge, per favorire la nascita di un corpo speciale, radicato nel territorio, a decorrere dal 10 gennaio 2012, le regioni e gli enti locali interessati, al fine di incentivare il reclutamento alpino riconoscerebbero ai "residenti" volontari in ferma prefissata e in rafferma benefìci di carattere fiscale e assistenziale.

Gli enti locali interessati sono tutti al Nord, dal provvedimento sarebbe infatti escluso l'Abruzzo e la sua tradizione militare di montagna. I residenti nelle regioni alpine, invece, godrebbero di una "corsia preferenziale" per entrare nel corpo. Proprio il vincolo della residenza sarebbe dettato, secondo gli osservatori, dalla volontà leghista di escludere gli aspiranti alpini delle altre regioni, privilegiando l'appartenenza al territorio attraverso la istituzione di "alpini di serie A e B". L'esempio: due militari in ferma prolungata nella stessa caserma, se uno è residente in quella regione, godrà di uno stipendio più alto e di agevolazioni nell'utilizzo dei servizi sociali, l'altro no. Ecco, dunque, l'esercito del Nord.


Ma gli incentivi non finiscono qui. Secondo la proposta di legge di Lega e Pdl, le Regioni potrebbero anche destinare agli alpini residenti riserve di posti nei concorsi concernenti sicurezza e protezione civile. La proposta introduce inoltre il possesso di brevetti di alpinismo, sci e soccorso in montagna come un titolo preferenziale per l'arruolamento.

Davide Caparini respinge l'accusa di "settentrionalismo" e a sua volta accusa: "Chi oggi non ha voluto discutere il provvedimento sugli alpini abbia almeno la decenza di non presentarsi più di fronte ai militari. Il voto mancato di questa mattina è un tradimento nei confronti delle migliaia di ragazzi che svolgono il loro dovere con abnegazione e altissimo senso di solidarietà. In quest'aula, in ogni intervento, esponenti della sinistra hanno detto che gli alpini sono un motivo di orgoglio, ma sono parole vuote e ipocrite perché alla prima occasione utile li hanno abbandonati. Valorizzare, come noi vogliamo, la specificità dell'identità settentrionale degli alpini non significa sottovalutare il contributo che tanti meridionali hanno dato e danno al nostro esercito e alle nostre missioni internazionali. E quindi, coloro che ai soldati preferiscono i mercenari [cioè in questo caso i meridionali, ndr] abbiano il coraggio di calare la maschera e di proporre la cancellazione tutte le specialità, le peculiarità e le tradizioni ad esse connesse".

(09 marzo 2011)

Fonte: MessaggeroVeneto.it

SiciliaInformazioni.com: Dopo Bolzano, anche San Mauro rifiuta festeggiamenti unità

Unità d'Italia con bandiera a mezz'asta
Così San Mauro Castelverde protesta per i tagli ai Comuni

14 marzo 2011

Bandiera a mezz'asta al Comune di San Mauro Castelverde, piccolo centro di duemila anime delle Madonie, giovedi' prossimo, in occasione della Festa dell'Unita' d'Italia. La clamorosa protesta e' stata annunciata dal sindaco di San Mauro, Mario Azzolini (Sel) che spiega: "Non abbiamo nulla da festeggiare. Giovedi'' esporremo la bandiera della Sicilia con la Trinacria, ma listata a lutto, perche' il nostro comune e' a lutto. Non ci hanno dato soldi e non sappiamo come andare avanti". "La nostra e' una forma di protesta - dice ancora Azzolini - la Regione ci ha intimato di chiudere il bilancio entro il 31 marzo ma non sappiamo con quali risorse. Cosi' non riusciremo a garantire i servizi essenziali ai cittadini".

Fonte: SiciliaInformazioni.com

Monday, 7 March 2011

BlogSicilia.it: Inaudito, Cascio cancella il Parlamento Siciliano ammettendo non eletti tra i banchi

L'idea è concedere il diritto di tribuna. Che il Senato non ha dato
Cascio sfida gli elettori: “Idv e Sel all’Ars”
di Antonella Folgheretti

7 marzo 2011 - Estromessi per volontà degli elettori dall’Assemblea regionale siciliana – e, per quanto riguarda i componenti della neo formazione politica Sel, anche dal Parlamento nazionale – potrebbero trovare un posto al sole all’Ars. Come dire: escono dalla porta e rientrano dalla finestra.

Sembra questo il senso di una iniziativa del presidente dell’Assemblea, Francesco Cascio, che farà certamente discutere in un momeno in cui, soprattutto a sinistra, si dibatte e si litiga. E parecchio pure.

Lunedì prossimo alle ore 11,30, nella Sala Rossa di Palazzo dei Normanni, a Palermo, Cascio, il segretario regionale di Italia Dei Valori, Fabio Giambrone, e il segretario regionale di Sinistra Ecologia Libertà, Erasmo Palazzotto, infatti, presenteranno alla stampa un “protocollo d’intenti” in virtù del quale, i due partiti, pur non essendo rappresentati all’interno dell’Ars, potranno, però, avere diritto di tribuna nel Parlamento Siciliano.

L’accordo, i cui dettagli saranno illustrati in conferenza stampa, parte dal presupposto che, rispetto ad altri partiti minori, IDV e SEL, sono presenti in 5 Consigli Regionali (Idv anche alla Camera e al Senato).

Il diritto di tribuna, in teoria, permetterebbe ai due partiti – che non hanno raggiunto la percentuale prevista dalla legge elettorale – di aggirare la soglia di sbarramento del cinque per cento, che ha tarpato loro le ali per un soffio verso la conquista di un seggio a Sala d’Ercole. Ma non è chiaro quale sia l’interpretazione che Cascio intenda dare a questo partcolare tipo di diritto che, per inciso, nemmeno il Senato ha concesso.

Così, quanti nella competizione elettorale, non si sono visti premiati col voto, potrebbero avere una rappresentanza parlamentare per tradurre le idee ed i programmi in disposizioni di legge.

Anche i piccoli “tengono famiglia”? Sembrerebbe di sì. Almeno quelli di sinistra (Perchè ad esempio non si include la Destra di Nello Musumeci?)

Se non si fosse eccessivamente maligni, si potrebbe pensare che qualcuno vuole concedere un po’ di lustro a Sala d’Ercole a chi non l’ha avuto dagli elettori. Un modo per tenersi buoni i partiti extra parlamentari (perché non si sa mai?) o forse un modo per creare altro scompiglio nel Pd?

Rieccheggiano ancora le parole del capogruppo Idv al Senato, Felice Belisario. Correva l’anno 2008 e sul diritto di tribuna diceva: “Certo in Parlamento non può rientrare dalla finestra ciò che è uscito dalla porta”. Ma si sa, tutto cambia. E le questioni di principio mutano con il mutare della politica…

[Stupefacente il commento di SEL Palermo all'articolo che nel ragionamento perverso dell'autore fa riferimento alla situazione degli altri parlamenti regionali: in questo modo viene cancellata completamente ogni autonomia di qualunque tipo in quanto ogni decisione presa in Sicilia deve essere la stessa di tutte le altre regioni a statuto normale. Nel caso di SEL, il discorso è valido pur non avendo il partito partecipato alle elezioni. Se non è un colpo di stato questo...

sel palermo scrive: 7 marzo 2011 19:30

l’articolo ha in se un po di inesattezze
per prima cosa essendo SEL nata dopo le elezioni di rinnovo dell’ARS nno è stata estromessa, semplicemente perchè non presente nel voto del maggio 2008 in secondo luogo il diritto di tribuna è consentito a sel e a idv ( e non a “la destra” od ad altre formazioni minori) esattamente perchè ,come riportato, si fa riferimento alla presenza dei due partiti in quasi tutti i consigli regionali, cosa che non si può dire per altre formazioni. non è una sfida agli elettori ,quindi, ma il riconoscimento del portato politico di due formazioni politiche.
]


Fonte: BlogSicilia.it

BlogSicilia.it: Federalismo, Forza del Sud (?) a soccorso di Bossi

Ecco gli ascari che hanno votato il Federalismo della Lega
di Giuseppina Marrone

5 marzo 2011 - Questi sono i nominativi della rappresentanza Siciliana che alla camera ha votato il Federalismo Leghista!

Che spettacolo vedere gli omini verdi esultare per il successo e fare gestacci! Chissà come avranno goduto i nostri rappresentanti della Sicilia e del Sud, avranno riso sotto i baffi, compiaciuti per avere messo a segno l’ennesima porcata ai danni delle terre più massacrate!….Che patriottismo!

E sapete, questi saranno gli stessi che poi verranno a chiedervi i voti perché vogliono creare benessere e sviluppo al Sud e in Sicilia, ma nessuno li ha intervistati, a nessuno hanno rilasciato interviste e servizi dove potere dire cosa ne pensassero di sto Federalismo, anzi, tutti contrari se proprio non potevano farne a meno…

BUFFONI, ASCARI e TRADITORI! E lo dico senza tema di smentita, perché se considerate che il gruppo della Lega alla Camera conta 59 deputati, i parlamentari della Sicilia e del Sud che hanno votato il Federalismo leghista sono 112!

Da 150 anni non è cambiato niente: i Garibaldini comprarono “le due sicilie” dagli ufficiali di Stato Maggiore dell’esercito borbonico e finsero di fare la guerra! ahahahaha vi pare che sia nei fatti cambiato qualcosa? è solo una questione di prezzo!

Voglio farvi notare che fra i votanti, c’è il nome di Gianfranco Micciché, lo stesso che ha fondato Forza del Sud, lo stesso che dice di volere la Sicilia ricca e rispettata, lo stesso che, nel suo ruolo istituzionale di SEGRETARIO DEL CIPE CON DELEGA AI FONDI FAS, ha stanziato 21 miliardi per le infrastrutture del Nord e 200 milioni per quelle del Sud, cioé 1%, lo stesso che ha dirottato i soldi che servivano per mettere in sicurezza la Napoli-Salerno, per costruire la Trieste-Lubianca!

Ecco i nomi:

Martino Antonio
Micciché Gianfranco
Prestigiacomo stefania
Stagno D’Alcontres
La Loggia Enrico
Catanoso Genoese
Gianni Pippo
Grimaldi Ugo
Cristaldi Nicolò
Fallica Giuseppe
Marinello Giuseppe
Romano Francesco
Alfano Angelino
Ruvolo Giuseppe
Misuraca Dore
Fontana Vincenzo
Scapagnini Umberto
Germanà Antonino
Gibiino Vincenzo
Garofalo Vincenzo
Giammanco Gabriella
Pagano Alessandro
Torrisi Salvatore
Scilipoti Domenico
Terranova Giacomo

Fonte: BlogSicilia.it

Saturday, 5 March 2011

LiveSicilia.it: Lotta politica serrata per il vertice della procura di Catania

"No a Tinebra a capo della procura di Catania"
di Andrea Cottone
venerdì 4 marzo 2011


La nomina di Giovanni Tinebra a capo della procura di Catania costituirebbe “grave pregiudizio per il funzionamento della procura di Catania nonché per lo sviluppo delle delicatissime inchieste di mafia (e non solo) tuttora ivi pendenti”. Lo scrive il deputato radicale del Pd Rita Bernardini in un’interrogazione parlamentare del 2 marzo scorso. “Il dottor Tinebra – sostiene la Bernardini citando fonti di stampa – risulta essere legato da forti rapporti di amicizia con grossi nomi dell’imprenditoria catanese e romana, da Ciancio a Caltagirone, tutti personaggi titolari di grossi interessi tuttora oggetto di inchieste aperte dalla stessa procura di Catania”. Si tratta dell’inchiesta sugli appalti per i parcheggi in project financing e del progetto di risanamento del quartiere di San Berillo su cui ha interessi il gruppo Acquamarcia. E in uno di questi filoni d’indagine il nome di Tinebra verrebbe fuori dalle intercettazioni telefoniche “in cui alcuni di questi imprenditori catanesi si augurano che al posto di D’Agata venga nominato proprio il dottor Giovanni Tinebra”.

A questo si aggiunge un certificato medico col quale Tinebra ha chiesto di essere esentato dalla testimonianza nel giudizio in corso a Palermo contro l’ex generale del Ros dei carabinieri, Mario Mori. “Il dottor Giovanni Tinebra – si legge del referto dell’ospedale “Cannizzaro” di Catania, firmato dal dottor Erminio Costanzo - è affetto da ’sindrome parkinsoniana’ con tremore a riposo agli arti superiori (sinistro e destro), apofonia con bradilalia. Tale situazione clinica (aspetto motorio) e il marcato riverbero neuro-vegetativo (sudorazione improvvisa e rash cutaneo eccetera) oltre ad un disagio psicologico di base si accentua nei momenti di stress arrivando talvolta a rallentare il flusso ideico e il rashival mnesico”.

In altre parole, come scrive lo stesso Tinebra al pm Nino Di Matteo, “le mie condizioni, così come descritte nella certificazione che allego, consiglierebbero di soprassedere” alla testimonianza richiesta. “Ciò sia in relazione alla stancabilità di cui sono affetto ed alla non sempre brillante memoria di cui dispongo, sia in relazione alla scarsa coordinazione dell’attività fisica che mi affligge, scarsa coordinazione che mi comporta spesso reazioni emozionali assolutamente spropositate (circostanza questa che potrebbe viziare il giudizio di eventuali osservatori)”.

“Appare opportuno valutare una scelta coraggiosa – aggiunge la Bernardini – analoga a quella già compiuta a Reggio Calabria con la nomina al vertice della locale requirente di un magistrato non reggino, estraneo alla pervasività dei condizionamenti esterni”. “La nomina del dottor Giuseppe Pignatone – conclude – ha consentito, infatti, di conseguire, in un paio di anni, brillanti risultati mai raggiunti in decenni di reggenza di uno dei più delicati uffici delle procure distrettuali antimafia”.

Fonte: LiveSicilia.it

EconomiaSicilia.com: Fondo Cape, fazione nordista tenta sabotaggio progetto Termini Imerese

Intervista a Simone Cimino dopo lo scontro societario che ha visto un cambio di guardia alla plancia di comando del gruppo finanziario che punta all’auto elettrica.
Cape Live, scontro interno ha rafforzato progetto Termini Imerese
4 marzo 2011 Andrea Naselli

All’indomani di uno scontro che all’interno di Cape Live ha visto fronteggiare due diverse liste per il controllo della plancia di comando, Simone Cimino, fondatore e presidente dal 1999 della Cimino e Associate Private Equity, ha accettato con www.economiasicilia.com di fare il punto della situazione relativamente all’investimento nell’auto elettrica su Termini Imerese. Proprio nei giorni scorsi è stato presentato il contratto di programma che prevede il coinvolgimento di 7 diversi progetti imprenditoriali che dovranno sostituire l’insediamento Fiat che a fine 2011 lascia Termini. Investimenti complessivi di circa 1 miliardo tra soldi pubblici e privati per la creazione di 3.300 posti di lavoro. Tra questi il progetto Sunny Car di Cimino viene realizzato attraverso il fondo chiuso Cape Regione Sicilia di cui Cape Live detiene una quota di 11,5 milioni di euro su un totale di 52 milioni di cui 14 della Regione Siciliana. Ma le notizie dello scontro societario hanno sollevato qualche preoccupazione nell’isola. Economy ha chiesto a Cimino che cosa sta succedendo nel mondo Cape.

E’ messa in forse la sua leadership?

Non credo che vi sia un problema di questo tipo. Se fosse stata in gioco la mia leadership non avrebbe vinto la lista di Michele Bargauan.

Cape Live, attraverso il fondo Cape Regione Sicilia, è partner del progetto auto elettrica a Termini Imerese. Il nuovo board comporterà un cambio di strategia su questo progetto?

Il nuovo vice presidente di Cape Live, Michele Bargauan, è a capo del progetto di ricerca su Termini. Un progetto realizzato attraverso una delle 3 società create ad hoc, la Cr Moss (le altre sono Cape Rev e Cr Charg, ndr), con il compito di presidiare la ricerca, lo sviluppo, l’implementazione e commercializzazione di batterie Li-one e successivamente batterie Pb-acido realizzate attraverso l’applicazione di materiali nano-strutturati. Se prima al vertice di Cape Live c’era un uomo di finanza ora c’è un uomo operante nel settore delle tecnologie e che della Cr Moss è amministratore. Mi pare che il progetto Termini Imerese non solo non avrà contraccolpi con il nuovo board ma addirittura verrà rafforzato. Non è un caso che Bargauan abbia un rapporto strettissimo con l’Università di Palermo e con la facoltà di ingegneria in particolare per sviluppare progetti innovativi nella filiera dell’auto elettrica.

Ma il progetto Termini Imerese faceva parte dello scontro che si è consumato nelle ultime settimane all’interno di Cape Live?

Non in particolare. Ma certamente era in una sorta di calderone di una contrapposizione Nord-Sud. Anche se il progetto Sunny Car non è stato oggetto di scontro aperto, sicuramente dall’altra fazione veniva visto con gelosia e antagonismo. In pratica alcuni lo vedevano con un fatto personale di Michele Cimino sentimentalmente legato alla Sicilia e non come un puro business dalle grandi potenzialità di risultati economici.


Una contrapposizione che ha riguardato solo il progetto Termini oppure tutto il fondo chiuso Cape Regione Sicilia?

E’ chiaro che il fondo Cape Regione Sicilia costituisce un unicum nel panorama nazionale. Un fondo chiuso in partnership con un ente locale è stato guardato con diffidenza. Ma la partecipazione, oltre che di Cape Live e della Regione Siciliana, di importanti partner come il Gruppo Unicredit, Natixis Private Equity International, la Bei attraverso il fondo Cip, dovrebbe sciogliere ogni dubbio.

Visto che il progetto Sunny Car esce adesso rafforzato, qual è il prossimo step operativo per la realizzazione dello stabilimento a Termini Imerese?

Non abbiamo ancora avuto formalmente un riscontro contrattuale. Dopo la nostra manifestazione di interesse del 9 dicembre scorso non abbiamo avuto nessuna replica. Dai giornali ho letto che a noi verrebbe assegnato lo spazio Magneti Marelli ma di concreto non so ancora nulla.

Chi ce l’ ha in questo momento il pallino per passare alla fase operativa?

Sicuramente Invitalia che ci deve chiamare. Da parte mia devo capire, sulla base degli spazi e dei tempi, come modulare il progetto. Due delle 3 nostre società create appositamente, la Cr Moss e la Cr Charg, stanno già operando. Entro il la fine del 2011 avremo già 70-80 stazioni sperimentali installate in altrettanti comuni.

Andrea Naselli

Fonte: EconomiaSicilia.com

Tuesday, 1 March 2011

Corriere.it: Banche cominciano a svalutare moneta elettronica

Le ultime mosse degli istituti per recuperare i costi del servizio alla cassa
«Tassa» fino a tre euro per prelevare contanti
Si parte da un euro per il ritiro allo sportello. Da Unicredit a Bnl, Mps e Ubi, ecco la mappa

MILANO - Prelevare denaro allo sportello «fisico» della banca, anziché al Bancomat? Attenzione, può essere un salasso. Sta dilagando la «tassa sul contante». Per ritirare i propri soldi dal conto, molto spesso, ora si paga. Ai correntisti della Bnl le lettere sono appena arrivate. La banca guidata da Fabio Gallia comunica che, dal 18 aprile, per ogni prelievo di liquidi in agenzia, inferiore ai 2mila euro, dovranno versare 3 euro. Come dire che chi preleva 100 euro ne incassa soltanto 97. Il resto - il 3%, in questo caso - finisce alla banca.

Il caso è l'ultimo in ordine di tempo e non è isolato. Ciò che fino a ieri era un'eccezione, sta diventando la regola. Nelle ultime settimane hanno deciso di applicare questa commissione anche Mps e Ubi. Si aggiungono a Cariparma, Popolare di Milano e Unicredit. Nelle sei banche analizzate, i costi per un prelievo di denaro allo sportello variano fra uno e tre euro. Significativi, se raffrontati al rendimento medio dei loro conti correnti: lo 0,03%. Come dire che ci vogliono più di 10 mila euro depositati sul conto per un anno intero, per compensare il costo di un prelievo di 3 euro allo sportello. È un balzello che colpisce particolarmente gli anziani, non avvezzi all'uso del Bancomat. Ma rischia di allontanare anche gli altri clienti, poco disposti a pagare per disporre di ciò che è loro.

Il Monte dei Paschi di Giuseppe Mussari, presidente dell'Abi, chiede 3 euro per ogni prelievo in filiale con il suo ultimo Conto Zip, lanciato in ottobre. Certo, è un conto dichiarato «vantaggioso per la clientela con operatività elevata sui canali telematici». Ma il segnale resta. Il gruppo Ubi, che al vertice del consiglio di sorveglianza ha l'ex presidente dell'Abi, Corrado Faissola, fino a gennaio non applicava alcuna commissione ai clienti che volessero ritirare i propri denari in agenzia, ora incassa un euro per tutti i prelievi fino a 500 euro: sia con il neonato conto Zero Zero Ubi, lanciato in dicembre, sia con i nuovi correntisti che sottoscrivano vecchi prodotti, come Duetto Noi. L'Unicredit oggi guidato da Federico Ghizzoni prevede da tempo 3 euro per i prelievi allo sportello fino a 1.500 euro (conto Genius Ricaricabile). Nella Cariparma controllata, come Bnl, dai francesi, si paga invece un euro per prelevare in agenzia fino a 500 euro. Quanto alla Bpm di Massimo Ponzellini, ha esteso la commissione di 1,5 euro, prevista dal suo storico prodotto Flexiconto, anche ai nuovi correntisti del conto Un-Due-Tre, lanciato in gennaio.

Si muove, invece, in controtendenza Intesa Sanpaolo, che ha appena abolito questa spesa con il nuovo conto modulare Facile, distribuito dal 21 febbraio (restano però in vigore le precedenti condizioni per i vecchi correntisti: un euro per prelievi fino a 500 euro). «Non si vuole penalizzare chi viene in filiale, è la nostra occasione di contatto con la clientela», dicono. Dal punto di vista delle banche, la «tassa sul contante» spinge i clienti all'uso dei canali di minore costo - gli sportelli automatici e Internet -, massimizzando i ricavi da privati in un momento di tassi bassi, nel quale è difficile guadagnare sulla raccolta.

È un'operazione giudicata in linea con le indicazioni non solo dell'Abi sulla riduzione della circolazione del cash, ma anche della Banca d'Italia, sul contenimento dei costi ribadito dal governatore Mario Draghi sabato al Forex. Dal punto di vista dei clienti, però, questa è forse la più odiosa delle spese bancarie. «I nostri clienti possono prelevare gratuitamente al Bancomat fino a 2 mila euro, con il supporto di un collega, se serve - dice Alessandro D'Agata, responsabile del mercato retail di Bnl -. Ma un'operazione allo sportello alla banca costa, per persone impiegate e sistemi informativi. E il prezzo di un servizio va commisurato al costo». «L'indicazione di Draghi è chiara, razionalizzare - commenta Stefano Caselli, docente di Economia degli intermediari finanziari in Bocconi -. E un modo è diminuire l'uso del contante, rendendolo più caro. Certo, per le banche la struttura dei costi è oggi particolarmente pesante. Chiaro che cerchino strade per aumentare i ricavi».

Alessandra Puato
01 marzo 2011

Fonte: Corriere.it

Economist.com: La dipendenza italiana dal petrolio libico [Tradizione: Il Consiglio]

Contare sulla Libia
Quale nazione dipende di più dal petrolio libico?
25 febbraio 2011


La Libia produce 1,7 milioni degli 88 milioni di barili al giorno (b/d) del mondo. Le nazioni OECD importano 1,2 milioni b/d, e la Cina altri 150.000. Il nostro grafico mostra quali, tra i principali mercati di esportazione libici, sono i più dipendenti dal suo petrolio. In cima alla lista, l'Irlanda conta solo per una piccola frazione delle esportazioni di petrolio libiche. L'Italia è di gran lunga il maggiore importatore: nel 2010 ha preso 376.000 b/d dalla sua antica colonia. Mentre il prezzo del petrolio aumenta a causa dei disordini nel mondo arabo, gli importatori si rivolgeranno all'Arabia Saudita per coprire ogni ammanco.


[In orizzontale il petrolio importato dalla Libia in percentuale rispetto al totale importato dalle varie nazioni (per l'Italia circa il 23%). Nel quadratino bianco a destra sono indicati i totali in migliaia di barili al giorno.]

Fonte: Economist.com