Thursday 25 November 2010

BlogSicilia.it: La Cucinotta non riconosce lo stato italiano

A Radio2 durante "Un giorno da pecora"

La Cucinotta dichiara il suo amore a Lombardo: “Il mio unico presidente”
di BlogSicilia

24 novembre 2010 - “Dichiarazione d’amore” di Maria Grazia Cucinotta al presidente della Regione Siciliana, Raffaele Lombardo, durante la trasmissione di Radio2 “Un giorno da pecora”.

Scherzando in collegamento telefonico da Barcellona con i conduttori Claudio Sabelli Fioretti e Giorgio Lauro che le chiedono se ha votato e voterebbe per il Governatore – presente in studio -, l’attrice messinese risponde: “È il mio unico presidente, sono siciliana…”

Ma Maria Grazia Cucinotta bacerebbe mai un politico? “Solo se mi puntassero una pistola alla testa“, risponde seria.

Fonte: BlogSicilia.it

Wednesday 24 November 2010

Corriere.it: Per la Germania alcuni paesi potrebbero uscire dall'Euro

La Germania non esclude la possibilità per i Paesi a rischio Mossa di Berlino: dall’euro si può uscire Merkel: la situazione è eccezionalmente seria
La Germania non esclude la possibilità per i Paesi a rischio
Mossa di Berlino: dall'euro si può uscire
Merkel: la situazione è eccezionalmente seria


BERLINO - Se qualcuno aveva dubbi sulla gravità delle crisi dell'Eurozona, ecco Angela Merkel. «Siamo in una situazione straordinariamente seria per quel che riguarda lo stato dell'euro», ha detto ieri la cancelliera di fronte all'assemblea annuale degli imprenditori tedeschi. Nel parlamento di Berlino, intanto, parlava il ministro delle Finanze Wolfgang Schäuble: di fronte alla crisi finanziaria dell'Irlanda, diceva, «vorrei rendere chiaro che è in gioco la nostra moneta comune. Se non riusciamo insieme a difenderla stabilmente le conseguenze economiche e sociali sarebbero incalcolabili». I mercati, già sotto pressione perché il pacchetto di aiuti europei a Dublino non li ha affatto calmati, si sono ulteriormente innervositi.

A Berlino la preoccupazione per quello che sta succedendo cresce di giorno in giorno. Il fatto che le decine di miliardi promesse all'Irlanda non abbiano tranquillizzato i mercati e anzi abbiano spostato le attenzioni sulle difficoltà del Portogallo fa temere che sia iniziato un effetto domino difficile da controllare.

La convinzione che si sta facendo strada è che i pacchetti di salvataggio - in primavera la Grecia, ora l'Irlanda - non possano bastare. Molti commentatori diranno che il governo di Berlino sbaglia nel chiedere che i governi nazionali siano messi di fronte alle loro responsabilità, non più coperti dall'ombrello di un euro indifferenziato, attraverso la possibilità che chi non ha i conti in ordine possa dover ristrutturare i suoi debiti, cioè ammettere un fallimento. E diranno che Frau Merkel non si rende conto di quanto pesino le sue parole sui mercati.

In realtà, la cancelliera sa quello che dice. Lo stesso vale per il ministro Schäuble, uno dei politici più esperti d'Europa. La realtà è che il governo tedesco non crede che la crisi che sta attraversando l'Eurozona possa essere controllata con interventi contingenti. E non esclude che alla fine di questa fase drammatica qualche Paese possa essere costretto ad abbandonare l'euro, per quanto complicato potrebbe essere: la signora Merkel aveva accennato a questa possibilità in primavera, durante la crisi greca, e a Berlino l'ipotesi continua a non essere data per esclusa. Il Paese che non è in grado di avere conti pubblici stabili - è il ragionamento - mina la solidità dell'euro. Infatti, sempre ieri, Frau Merkel ha ribadito che «se l'euro dev'essere una valuta stabile, il Patto di stabilità e crescita va mantenuto», anche con la clausola del possibile default di un Paese con i conti fuori controllo.

Berlino vuole che i mercati si rendano conto che non tutti i titoli di Stato emessi dai 16 Paesi dell'Eurozona sono uguali, pretende che ogni governo si assuma le responsabilità del suo bilancio pubblico. Se questo crea instabilità sui mercati - dicono in queste ore i funzionari del governo - pazienza o forse meglio: per sopravvivere l'euro ha bisogno che il Patto di stabilità che lo sostiene funzioni davvero. In più, il governo di Berlino deve fare attenzione ad aspetti apparentemente formali ma in realtà potenzialmente decisivi. In Germania, per dire, alcuni economisti - ieri il rispettato Max Otte sulle colonne del giornale finanziario Handesblatt - cominciano a sostenere che il pacchetto di salvataggio all'Irlanda viola le regole del Trattato di Maastricht perché sposta le passività di un Paese sui partner. Se così ritenesse anche la Corte Costituzionale tedesca, tutto finirebbe nel caos: la Germania non potrebbe partecipare al salvataggio e quindi quest'ultimo fallirebbe. Situazione «straordinariamente seria», in effetti.

Danilo Taino
24 novembre 2010

Fonte: Corriere.it

La Sicilia: Ritorsione, le auto siciliane non possono circolare in Italia

Il caso domani sul tavolo dell'assessore Piercarmelo Russo
Revisione auto nulla oltre lo Stretto, la Regione cerca vie d'uscita
Martedì 23 Novembre 2010
Giovanni Ciancimino


Palermo.In effetti, il presidente dell'Associazione Campeggiatori Turistici d'Italia ha ragione. Il problema della revisione delle macchine effettuata in Sicilia col marchio Regione Siciliana non riconosciuta al di là dello Stretto esiste. L'assessore regionale ai Trasporti, Pier Carmelo Russo, infatti, ha convocato per domani le categorie interessate per trovare una via d'uscita, al fine di evitare che le macchine revisionate in Sicilia vengano multate e private del relativo libretto nel resto del Paese.

Il problema ha origini lontane. Tra il 1999 e il 2000, presidente della Regione pro tempore, Vincenzino Leanza, sottoscrisse un accordo con lo Stato che, nel quadro delle norme di attuazione dello Statuto autonomistico siciliano, trasferiva alla Regione i poteri in materia e in virtù del quale avrebbe incamerato le somme relative. Accordo tramutato in decreto legislativo varato dal governo centrale di allora. Quindi operante.

Cosa è successo nel frattempo? La Regione ha incassato i diritti provenenti dalla revisione delle macchine. Senonché, in data recente, il ministero dei Trasporti ha aperto un contenzioso sulla legittimità della competenza della Regione. Quindi, il Consiglio dei ministri, il 27 ottobre dello scorso anno, sollevò un conflitto di attribuzioni, secondo cui sarebbe errata la convinzione che le entrate derivanti dalle revisioni dei veicoli siano «tasse spettanti alla Regione Siciliana». Al governo regionale si contesta di aver creato «una propria e distinta procedura informatizzata per l'accertamento delle entrate». Il che, fra l'altro, secondo il ricorrente violerebbe una direttiva della Cee.

Si sa che sono in corso trattative tra il governo regionale e il ministero dei Trasporti per trovare una via d'uscita immediata in modo che i 900 mila automobilisti siciliani, che hanno revisionato le loro macchine, possano circolare senza problemi nel resto del Paese. E questo sembra un problema la cui soluzione non dovrebbe essere difficile se è vero che sul passato si metterebbe, come si suol dire, una pietra sopra. E le revisioni effettuate in data successiva alla contestazione del Ministero dei trasporti?

Questo problema è più complicato da risolvere: riguarda le revisioni effettuate, appunto, dopo il contenzioso aperto dal governo centrale i cui proventi sono già stati incassati dalla Regione.

A questo punto cosa potrà succedere? É da escludere che la Regione restituisca allo Stato sic et simpliciter le somme riscosse finché non si pronunci la Corte Costituzionale.

Ma, intanto, gli automobilisti quali garanzie avranno di circolare nel resto del territorio nazionale? Come detto, domani l'argomento sarà affrontato da un tavolo convocato dall'assessore ai trasporti. Ma, se viviamo nella stessa Repubblica, riteniamo che, fino alla pronuncia della Consulta, il decreto legislativo a suo tempo varato dal governo centrale dovrebbe restare in vigore. Poi si vedrà.

Fonte: La Sicilia

Monday 22 November 2010

LAltraSicilia.org: La Regione contiua ad umiliare la diaspora

Consulta: una vergogna tutta siciliana 2

Con delega assessoriale del 10 settembre 2010 l’assessore regionale della famiglia, delle politiche sociali e del lavoro Nicola Leanza veniamo a conoscenza della nomina di alcuni nostri connazionali residenti all’estero e di tanti anche di quelli nominati in italia non ci è dato di conoscere né l’origine, né l’indirizzo dove abitano ma anche di quelli nominati all’estero di alcuni non appare neanche la residenza.

Dalla lettura non sappiamo quale associazione rappresentino, non sappiamo di quale fantomatica struttura facciano parte ma tanti fanno parte di quelle famose sette sorelle che gesticono l’emigrazione in Sicilia a sapere: USEF – C.O.E.S. – SICILIA MONDO – ISTITUTO FERNANDO SANTI - Associazione SIRACUSANI NEL MONDO - ANFE – A.I.T.A.E – A.I.T.A.F) senza dimenticare le ACLI – E.N.C.A.L – I.N.P.A.L , i sindacati CISL – UIL – CGIL - e le relative rappresentanze del movimento cooperativistico UNCI – AGCI.

Non sapevamo che anche sette esperti erano stati nominati ed a questi signori-esperti vorremmo chiedere, a parte i loro tanti viaggi all’estero a spese del contribuente, quanto tempo hanno lavorato in un qualsiasi paese del mondo.

Contrariamente alla Regione Sardegna, la Regione Siciliana, non riconosce l'associazionismo che opera all'estero, ma come sopra descritto soltanto all'associazionismo presente in Sicilia. Un monopolio assolutamente ingiustificato perché obbliga le associazioni a subire progetti e programmi, fatti in Sicilia da gente senza scrupoli che fin ora ha solo, nella migliore delle ipotesi, hanno sprecato miliardi (prima in lire ed adesso in milioni di euri) pubblici.

Contiua a leggere sul sito de L'Altra Sicilia

Telegraph.co.uk: Rappresentanti UE ammettono destino segnato

L’ ORRIBILE VERITA’ COMINCIA A FARSI STRADA TRA I LEADER EUROPEI
DI AMBROSE EVANS-PRITCHARD
16 novembre 2010


[Attenzione alle parole di Van Rompuy: in questo momento certe dichiarazioni potrebbero essere solo uno strumento per cercare di deprimere l'Euro nei confronti del dollaro. Questo non ne elimina del tutto il peso politico, ndr]

L'intero progetto europeo è ora a rischio di disgregazione, con conseguenze strategiche ed economiche che sono molto difficili da prevedere.

In un discorso tenuto questa mattina, il presidente dell'Unione europea Herman Van Rompuy (poeta e scrittore di versi giapponesi e latini) ha avvertito che se i leader europei trattano maldestramente la crisi attuale e consentono lo scioglimento dell’eurozona, essi distruggono la stessa Unione europea.

"Siamo in una crisi di sopravvivenza. Dobbiamo lavorare tutti insieme per sopravvivere con la zona euro, perché se non sopravviviamo con la zona euro non sopravviveremo con l'Unione europea ", ha detto.

Bene, bene. Questo tema è fin troppo familiare ai lettori del The Daily Telegraph, ma è come uno shock ascoltare una tale confessione dal presidente europeo dopo tutti questi anni.

Egli ammette che la scommessa di lanciare una moneta prematura e disfunzionale, senza una tesoreria centrale, o unione del debito, o governo economico per sostenerla - e prima che le economie, i sistemi giuridici, le pratiche di contrattazione salariale, la crescita della produttività, la sensibilità del tasso d’interesse del Nord e del Sud Europa arrivassero dovunque vicino ad una convergenza sostenibile - ora può ritorcersi contro orribilmente.

Fu detto a Jacques Delors e compagni, padri dell'UEM (Economic and Monetary Union), dagli economisti della Commissione nei primi anni ‘90 che questa avventura spericolata non avrebbe potuto funzionare così come costruita, e avrebbe portato ad una crisi traumatica. Essi fecero spallucce di fronte alle avvertenze.

Gli era anche stato detto che la moneta unica non elimina il rischio: essa sposta semplicemente il rischio di cambio verso ill rischio di default. Per questo motivo era tanto più importante disporre di un meccanismo efficace per i default sovrani e le ristrutturazioni del debito in atto sin dall'inizio, con regole chiare per stabilire i giusti prezzi di tale rischio.

Ma no, i maestri della UE non volevano sentire niente di tutto ciò. Non potevano esserci dei default e nessuna preparazione fu fatta o addirittura consentita per un simile risultato del tutto prevedibile. Fu sufficiente la sola fede politica. Gli investitori che avrebbero dovuto essere informati meglio andarono dritti nella trappola, pagando il debito greco, portoghese e irlandese a 25-35 punti base al di sopra dei Bund. all’apice del boom i fondi d’investimento acquistavano obbligazioni spagnole con uno spread di 4 punti base. Ora stiamo vedendo quello che succede quando si consolida tale rischio morale nel sistema, e si spegne il segnale d’allarme.

Delors ha detto ai colleghi che ogni crisi sarebbe una "crisi salutare", consentendo all'UE di abbattere la resistenza al federalismo fiscale, e di accumulare energia fresca. Lo scopo della EMU è stato politico, non economico, per cui le obiezioni degli economisti potevano felicemente essere ignorate. Una volta che la moneta era in vita, gli stati UE avrebbero rinunciato alla sovranità nazionale per farla funzionare nel tempo. Ciò porterebbe inevitabilmente al sogno di Monnet di uno stato dell'Unione europea a pieno titolo. E causare la crisi.

Dietro a questa scommessa, ovviamente, c’era il presupposto che ogni crisi potrebbe essere contenuta ad un costo tollerabile una volta che gli squilibri del sistema monetaria EMU “un’unica taglia che non va bene a nessuno” avessero già raggiunto livelli catastrofici, e una volta che le bolle del credito di Club Med e dell'Irlanda fossero esplose. Si presumeva anche che la Germania, Paesi Bassi, Finlandia in ultima analisi - a seguito di molte proteste - si sarebbero impegnate a pagare il conto per una “Unione europea di sussidi di solidarietà”.

Si può presto scoprire se tale ipotesi è corretta. Lungi dall’amalgamare l'Europa, l'unione monetaria sta portando ad acrimonia e recriminazioni reciproche. Abbiamo avuto la prima eruzione all'inizio di quest'anno quando il vice premier della Grecia ha accusato i tedeschi di aver rubato l’oro greco dai forzieri della banca centrale e aver ucciso 300.000 persone durante l'occupazione nazista.

La Grecia è ora sotto un protettorato dell'Unione europea, o il "Memorandum", come lo chiamano. Ciò ha provocato attacchi terroristici di minor conto contro chiunque associato al governo UE. Irlanda e Portogallo sono più indietro su questa strada per la servitù della gleba, ma sono già alle prese con la politica imposta da Bruxelles per essere presto sotto protettorati formali in ogni caso. La Spagna è più o meno stata costretta a tagliare i salari pubblici del 5% per soddisfare le richieste dell'UE in maggio. Tutti sono costretti a lavorare duro a causa dell'agenda di austerità dell'Europa, senza la contropartita del soccorso della svalutazione e di una più libera politica monetaria.

Dato che questo continuerà anche nel prossimo anno, con tasso di disoccupazione fermo a livelli da depressione o addirittura oltre in maniera strisciante, ci si comincia a interrogare sulla paternità di tali politiche. C'è pieno consenso democratico, oppure questa sofferenza è imposta da capi supremi stranieri con un obiettivo ideologico? Non ci vuole molta immaginazione per vedere cosa tutto questo sta per fare per la concordia in Europa.

La mia opinione personale è che l'UE è divenuta illegittima quando si è rifiutata di accettare il rigetto della Costituzione europea da parte degli elettori francesi e olandesi nel 2005. Non ci poteva essere alcuna giustificazione per resuscitare il testo del trattato di Lisbona ed imporlo attraverso una procedura parlamentare senza referendum, in quanto costituiva un putsch autoritario. (Sì, i parlamenti nazionali sono stati a loro volta eletti - quindi non scrivete commenti indignati di puntualizzazione -. Ma quale era il loro motivo per negare ai loro popoli un voto in questo caso specifico? I leader eletti possono anche violare la democrazia. C'era un caporale in Austria ... ma lasciamo perdere questo).

L'Irlanda era l'unico paese costretto a considerare una votazione della sua corte costituzionale. Quando anche questo elettorato solitario ha votato no, l'UE ha nuovamente ignorato il risultato e intimato all'Irlanda di votare una seconda volta per farlo "giusto".

Questo è il comportamento di una organizzazione proto-fascista, per cui se l'Irlanda ora - per ironia della storia, e senza compenso – fa scoppiare la reazione a catena che distrugge la zona euro e l'Unione europea, sarà difficile resistere alla tentazione di aprire una bottiglia di whisky Connemara e godersi il momento. Ma bisogna resistere. Il cataclisma non sarà gradevole.

Il mio pensiero per tutti quei vecchi amici che ancora lavorano per le istituzioni dell'UE è: cosa accadrà alle loro pensioni in euro se il signor Van Rompuy ha ragione?

Fonte originale: Telegraph.co.uk
Traduzione: Come Don Chisciotte

Repubblica.it: Eccoci servita l'ennesima fanta-storia di Sicilia

L'Isola dei carrozzoni

[In grassetto il vero motivo del risentimento degli autori, ndr]


Il clientelismo risale al '500
Lunedì allo Steri si presenta "La zavorra", saggio di Enrico Del Mercato ed Emanuele Lauria su sprechi e privilegi in Sicilia. Si parte con un precedente del Cinquecento: mentre il regno di Spagna aboliva le guarentigie per i tribunali sacri, a Palermo chi faceva parte del Sant'Uffizio godeva ancora dell'immunità. Cinque secoli più avanti la Corte dei conti accuserà la folla di stipendiati della Regione diventati 144 mila
di ENRICO DEL MERCATO e EMANUELE LAURIA


"Todos los ricos, nobles y los delinquentes". Il 3 novembre del 1577 il nuovo viceré di Sicilia, Marco Antonio Colonna, eroe della battaglia di Lepanto, scrive al sovrano di Spagna, Filippo II, per spiegargli perché nell'Isola è così difficile governare. Parla di nemici, "tutti ricchi, nobili e delinquenti". Ma chi sono? Sono i membri del Sant'Uffizio, nella sede siciliana dell'Inquisizione. E sono tantissimi: almeno 24 mila persone, considerando i 1.572 dipendenti diretti e tutti gli altri "affiliati" che possono beneficiare di privilegi e immunità.

Un bel carrozzone clientelare in stile rinascimentale che l'eroe di Lepanto si era messo in testa di smantellare. O, quantomeno, di ricondurre alle dimensioni che gli uffici dell'Inquisizione avevano nel resto del Regno. E già, perché una tale pletora non era dato trovarla né a Napoli, né in Castiglia, né in Aragona. Anzi. A far saltare la mosca al naso del viceré era stata proprio la lettura degli atti di Concordia firmati qualche anno prima del suo arrivo in Sicilia. In base a quegli accordi, in tutto il Regno di Spagna le strutture dell'Inquisizione erano state riformate: snellite nei loro apparati burocratici e, soprattutto, private di una sostanziosa parte dei privilegi. In particolare, gli appartenenti al Sant'Uffizio erano stati sottratti alla giurisdizione speciale del foro dell'Inquisizione per reati non attinenti alla religione. Significava che, se qualcuno avesse commesso un omicidio o un furto, sarebbe stato giudicato non più da una corte composta da "amici", ma da un normale tribunale.

In quell'anno 1577, in cui l'eroe di Lepanto arrivò a Palermo, tutto questo era la regola nell'intero e vasto Regno guidato da Filippo II. Ovunque, tranne che nella "specialissima" Sicilia. Laggiù, nell'isola, chi faceva parte della mastodontica struttura del Sant'Uffizio poteva ancora farla franca, anche se si fosse macchiato di reati che con la religione non c'entravano nulla. Un bel privilegio, non c'è che dire, che faceva gola a parecchi. "In Sicilia - scriveva Marco Antonio Colonna al re - si fa a gara per entrare nel numero dei dipendenti del Sant'Uffizio, nella convinzione che tale acquisto li liberi da ogni timore di giustizia e li renda sicuri".

Insomma, tutti i ricchi, i nobili e i delinquenti di Sicilia (per stare alle parole del viceré) correvano a garantirsi un posto in quel carrozzone che era diventato il tribunale dell'Inquisizione, non tanto per assolvere alla cieca esigenza di punire apostati, bestemmiatori, giudei e sodomiti, quanto per garantirsi, pragmaticamente, un vastissimo spazio di impunità. Ecco allora "uno strepitoso ampliamento della rete dei familiari e degli ufficiali che operavano al servizio del Sant'Officio. In poco più di un decennio si era avuta una crescita del 300 per cento".

Per contrastare questo andazzo, Marco Antonio Colonna pensò di riformare gli uffici dell'Inquisizione in Sicilia uniformandoli a quelli del resto del Regno. Figurarsi, si rivelò subito una missione impossibile. Aveva messo le mani, l'eroe di Lepanto, su un grumo di interessi protetti, ma soprattutto aveva toccato l'orgoglio siculo, scalfendo uno dei princìpi non scritti sui quali esso si fonda: la Sicilia è una "nazione" a sé, per la quale lo Stato centrale (sia esso il Regno di Spagna o, molto più tardi, la Repubblica italiana) deve prevedere leggi autonome, speciali, riservate solo ai siciliani e non in vigore altrove.

Non a caso, in quella lunga e solo apparentemente non sanguinosa guerra di potere col Colonna, i difensori dei privilegi del Sant'Uffizio siciliano sostennero non solo che l'Inquisizione in genere dovesse avere più poteri ovunque, ma che la struttura siciliana dovesse avere più potere di ogni altro Santo Officio spagnolo. Uno di loro scriveva così a Filippo II: "Che cosa può attendersi mai vostra Maestà da un Regno tanto inquieto e lubrico come la Sicilia, posto in mezzo ai suoi nemici, tanto lontano dalla sua presenza, pieno di eretici e di turchi che, per la molta pratica di navigare in quei mari, vi svernano con la medesima sicurezza come in Levante e se gli eretici non fan lo stesso è per il timore del Sant'Officio?".

Per difendere il loro privilegio autonomista gli inquisitori e i signori loro alleati sparsero veleni e maldicenze sul viceré, agitarono lo spettro della totale distruzione dell'Inquisizione, iniettarono a corte, a Madrid, venefici ragionamenti sul fatto che l'eroe di Lepanto - in quanto italiano - mal conciliasse i propri sentimenti con quelli della Corona spagnola. Alla fine, gli inquisitori siciliani la spuntarono.

Nel 1580 fu firmata una nuova Concordia che regolava i rapporti tra il Sant'Uffizio e la Corona e che, ovviamente, lasciava intatti i privilegi dell'Inquisizione siciliana. Marco Antonio Colonna, sommerso dai veleni e dalle dicerie, cadde in disgrazia presso il sovrano. Venne "commissariato "con l'invio di un osservatore da Madrid e, ben prima che scadesse il suo mandato, fu richiamato in Spagna per discolparsi. Durante il viaggio morì. Resta il sospetto che sia stato avvelenato.

Cinquecento e passa anni dopo, nella Sala delle capriate dello Steri, che fu la sede dell'Inquisizione in Sicilia, il procuratore generale della Corte dei conti Vincenzo Coppola snocciola le cifre del pachidermico bilancio della Regione siciliana. È il 30 giugno del 2010, il giorno in cui - per tradizione - i magistrati contabili passano in rassegna le cifre sulle quali si regge il bilancio dell'ente al quale più di ogni altro i siciliani affidano la propria vita, dalla culla alla bara: la Regione, per l'appunto. È un appuntamento, questo, di routine.

Sotto il tetto dalle volte lignee, a pochi passi dalle stanze nelle quali - ai tempi del viceré Marco Antonio Colonna - venivano torturati eretici, giudei, bestemmiatori, rotolano numeri che raccontano l'annuale miracolo della Regione autonoma siciliana: un bilancio che dovrebbe costringere a portare i libri in tribunale e che, invece, continua ad assistere i siciliani come se fossero gli ultimi superstiti del socialismo reale. Quando il procuratore Coppola arriva al numero di dipendenti che la Regione siciliana ha in organico, però, sembra di rivedere in quelle stanze l'eroe di Lepanto chino a scrivere a Filippo II la lettera sulla pletorica "famiglia" del Sant'Uffizio siciliano.

"Alla data del 31 dicembre - scandisce il magistrato contabile - i dipendenti a tempo indeterminato della Regione hanno raggiunto il numero di 13.528". Ma non sono solo questi gli stipendiati in via diretta dall'amministrazione regionale. A loro si aggiunge quello che il procuratore generale della Corte dei conti chiama "personale esterno a tempo determinato": esattamente 7.114 persone. In questa categoria entrano 1.461 lavoratori utilizzati nelle Spa di cui la Regione controlla l'intero pacchetto azionario e delle quali, dunque, sostiene per intero le spese, i dirigenti e i funzionari a contratto. Tirando le somme, i dipendenti a foglio paga della Regione raggiungono la cifra di 20.642 unità. Ma non basta neppure questo numero a comprendere quale peso abbia sulla società siciliana la Regione.

A quei 20.000 e passa dipendenti diretti, infatti, va aggiunto ancora l'esercito di precari che ogni mese riceve un assegno dalle casse regionali: lavoratori socialmente utili, lavoratori a progetto, forestali, dipendenti delle Asl. Sommandoli agli impiegati si arriva alla cifra di 144.147. È il numero di stipendi che paga ogni mese Mamma Regione siciliana: più del doppio della Fiat, la maggiore industria italiana, oppure l'intera popolazione di una città come Salerno, anziani e neonati compresi. È come se le radici di quell'antico carrozzone denunciato dal viceré Marco Antonio Colonna fossero riemerse producendo un nuovo mostro burocratico dispensatore di assistenza e privilegi.

(20 novembre 2010)

Fonte: Repubblica.it

Thursday 18 November 2010

QdS.it: Carburanti, trasporto Priolo-Sicilia più caro che Priolo-Toscana

Carburanti, novembre “amaro” automobilisti isolani tartassati
di Giuseppe Bellia

Terzo appuntamento del mese con le rilevazioni dei prezziari presso i distributori siciliani. Le compagnie petrolifere della Sicilia ancora più care che nel resto d’Italia



PALERMO – Dopo i ribassi d’ottobre, continua la “rincorsa” al rialzo dei carburanti che sta caratterizzando il mese di novembre. Gli indicatori economici di questa progressiva ascesa dei prezzi sono gli indici nazionali di benzina e diesel (Pmn), questi presentano un andamento in crescita, secondo i dati dei rilevamenti del 15 novembre operati dal portale Prezzibenzina.it.

Tuttavia, i prezziari dei carburanti dovrebbero quanto prima avere un’inversione di tendenza verso una nuova serie di ribassi. Infatti, la quotazione del petrolio (dopo aver sforato gli 85 dollari la scorsa settimana) è scesa intorno agli 80 dollari al barile (ieri 81,83).

Benzina

Prezzo medio nazionale rilevato dal portale Prezzibenzina.it lo scorso lunedì 1,369 €/L.

Listini isolani della benzina, sempre in vetta alla speciale classifica dei “salassi alla pompa”.

Infatti, tutti i prezziari censiti nel comparto lo scorso 15 novembre non solo hanno abbondantemente superato il Pmn (Prezzo medio nazionale), ma hanno presentato un prezziario al distributore superiore all’euro e quattro centesimi al litro.

Il listino più caro fra quelli rilevati nell’Isola è stato quello dell’Agip (1,431 €), prezziario che ha presentato un sovraprezzo di quasi un centesimo, rispetto allo stesso listino della stessa compagnia esposto in Toscana (1,343 €). In graduatoria segue la Q8 (1,415 €), mentre i prezziari più economici sono stati quelli delle compagnie petrolifere Esso ed Erg (1,410 €).

Diesel

Prezzo medio nazionale nel comparto registrato dalla stessa fonte e lo stesso giorno 1,240 €/L.

A differenza dei prezzi della benzina, quelli del diesel rilevati in Sicilia sono più in linea con i prezziari delle altre regioni. Nonostante ciò, i consumatori isolani pagano sempre qualche millesimo in più che altrove. Per questa settimana il listino più caro fra quelli censiti nel comparto è stato quello della Q8 (1,286 €), seguito da Erg (1,279 €) ed Agip (1,275 €). Tutti i listini rilevati nell’Isola dalle compagnie petrolifere sopra citate hanno presentato prezzi, dati alla mano, più cari degli stessi prezziari esposti in Lombardia, Veneto, Emilia – Romagna, Toscana e Lazio.

La differenza di prezzo più rilevante registrata è il gap fra il listino Agip in Sicilia e quello censito in Toscana: la compagnia petrolifera è la stessa, ma la differenza fra i due listini è 73 millesimi a sfavore del prezziario isolano.





Fonte: Quotidiano di Sicilia

Wednesday 17 November 2010

La Sicilia: ArenaWays, Siciliani primi treni privati in Italia


Parte la guerra dei binari. Il «battesimo» di Arenaways, la compagnia fondata dal messinese Giuseppe Arena

Un siciliano lancia la sfida a Trenitalia
A bordo delle nuove e moderne carrozze anche un supermarket e una lavanderia per i passeggeri
Martedì 16 Novembre 2010


Torino. Alle 7,10, puntualissimo, lascia la stazione di Torino Lingotto, con i primi passeggeri a bordo, il treno di Arenaways, la società privata che prova a rompere il monopolio delle Ferrovie. Due ore dopo entra a Milano Porta Garibaldi, con dieci minuti d'anticipo rispetto all'orario previsto, ma senza fermate intermedie.

Con il fischio della giovane capotreno Laura Scognamillo, 26 anni, figlia di un ferroviere siciliano, parte la sfida della piccola società di Alessandria. Un avvio tra polemiche e tensioni. Lo confermano i cartelli sulle biglietterie di Torino Porta Susa: «Non si danno informazioni su altri vettori». Sui monitor però il nome di Arenaways c'è e lo speaker in stazione annuncia l'arrivo del treno citando, con un'errata pronuncia, il nome della società.

«Si pensa che la concorrenza si possa vincere con un'opera di sfiancamento - osserva l'amministratore delegato della società, Giuseppe Arena, 59 anni, originario di Messina - ma ce l'abbiamo fatta lo stesso, anche se non è la partenza che avremmo voluto. I passeggeri sono pochi, ma ci faremo conoscere. È una giornata storica». Arena, che ha fondato e gestito diverse aziende ferroviarie di di livello nazionale e internazionale, ricorda presenterà subito tre ricorsi: all'Antitrust, all'Ufficio di regolazione dei servizi ferroviari del ministero dei Trasporti, e alla Commissione Europea.

Il treno, giallo e rosso, è pieno di servizi accattivanti: si può fare la spesa a bordo, scegliendo i prodotti e ritirando la spesa al ritorno in stazione o lasciare i vestiti in lavanderia come in albergo e riprenderli, tre giorni dopo, puliti e stirati. La classe è unica e le carrozze sono fornite di prese di corrente e monitor su cui compariranno le news e un video sulla sicurezza a bordo come sugli aerei.

«Abbiamo visto - spiega Patrizia De Bernardi, coordinatrice dei servizi sui treni Arenaways - da una indagine effettuata, che la maggioranza dei pendolari è single. Il rischio è che debbano passare il sabato a fare le commissioni, noi proviamo a dare loro una mano». C'è anche il minimarket accanto allo snack bar e alcuni prodotti hanno il marchio AW della società: pasta pugliese, olio, conserve, vino.

I pendolari per ora sono pochi. L'Ufficio di regolazione dei servizi ferroviari (Ursf, organo del ministero dei Trasporti) non ha consentito le fermate intermedie, limitando le corse solo a Torino e Milano affinchè «non vi sia interferenza alcuna con i servizi per i quali è previsto un contributo pubblico». Un ostacolo che non ha però fermato Giuseppe Arena, ma che fa capire come la cosiddetta guerra dei treni sia in pieno svolgimento. Solo un mese fa la polemica era scoppiata ra Fs e Ntv, l'azienda privata che ha tra i suoi fondatori Luca Cordero di Montezemolo e Diego Della Valle e tra gli azionisti Intesa SanPaolo, Generali, Bombassei, e che scenderà sui binari dell'alta velocità nel settembre 2011.

Intanto Arenaways è stata accolta bene dai primi passeggeri. Angela è salita «per curiosità», così come Corinne che studia all'Università della Bicocca e confessa di essere «nauseata dai treni delle Ferrovie». Sante Altisio e Paolo Pellegrini, invece, vanno a Milano per lavoro e il treno Arenaways lo hanno preso per caso: «C'è una bella differenza, non sembra neppure un treno». A molti passeggeri è piaciuta l'idea di poter fare il biglietto a bordo senza pagare sovrapprezzo (il ticket point accetta anche le monetine), così come piace la garanzia del rimborso di una parte del biglietto in caso di ritardo superiore a mezz'ora qualunque sia la causa.

Fonte: La Sicilia

Tuesday 16 November 2010

SofiaOggi.com: South Stream, siglato accordo Russia-Bulgaria

La visita di Putin a Sofia si è conclusa con successo per la Russia, la Bulgaria è ancora in attesa

Tre accordi, due dei quali legati al progetto "South Stream" e uno in ambito sociale, hanno firmato Bulgaria e Russia nella giornata di visita della delegazione russa guidata dal primo ministro Vladimir Putin, che è arrivato sabato in Bulgaria su invito del suo omologo bulgaro Boyko Borisov.

La parte russa ha firmato l’accordo degli azionisti e lo statuto della società “South Stream - Bulgaria AD”, ma ha reso chiaro che il progetto “South Stream non è affatto collegato al prezzo del gas”, come ha sottolineato lo stesso Vladimir Putin. Giorni prima della visita del Primo Ministro russo, dalla stampa russa era trapelato che la Russia avrebbe offerto tra il 5 e il 7% di riduzione del prezzo del gas in Bulgaria.

"Con la firma dell'accordo di oggi per South Stream i governi di Bulgaria e Russia entro i prossimi cinque o sei mandati di governo riceveranno più di 2 miliardi di dollari nei loro bilanci a seconda della quantità di gas che passerà attraverso le condutture" ha detto il Primo Ministro bulgaro Boyko Borisov . Egli ha sottolineato che i conti bancari della nuova società del progetto South Stream saranno gestiti dalla Bulgarian Development Bank, che è al 100% di proprietà del governo, e ha sperato che il suo omologo russo al più presto possa dare una risposta alla domanda riguardante i prezzi del gas .


Segnali radicalmente diversi sono giunti dalle parti russe e bulgare sul progetto di costruzione della centrale nucleare di Belene. Putin ha detto che la parte russa ha dato alla Bulgaria il richiesto prezzo, fissato e finale, per il progetto che include i finanziamenti russi ed è in attesa della risposta da parte di Sofia. Il Ministro dell'Economia e dell'Energia Traycho Traykov, tuttavia, ha spiegato in seguito ai giornalisti che "a proposito di Belene non c’è nulla di nuovo".


Nel frattempo Sergey Kiriyenko ha detto che Atomstroyexport ha preparato una argomentazione tecnico-economica del progetto totalmente nuova, non hanno mai smesso di lavorare su di esso e alla fine del prossimo anno, potrà essere fornita l’attrezzatura completa per il primo reattore e di poter recuperare qualsiasi ritardo. La documentazione del progetto è stata presentata all’agenzia bulgara per il controllo nucleare e in sede di esame coinvolgerà i rappresentanti della Commissione Europea e l'Agenzia internazionale per l'energia atomica.

Secondo Kiriyenko, nella sua nuova versione, il progetto si ammortizzerà in meno di 20 anni, tenendo conto che il periodo di ammortizzamento medio è di 25 anni, su un ciclo di vita dei reattori di 60 anni. Il nuovo progetto tecnico per la costruzione della centrale nucleare di Belene sarà approvato entro la fine dell'anno, ha detto l'ufficio stampa del governo.

"La parte russa è pronta a realizzare questo progetto in modo ottimizzato per la Bulgaria, con la fornitura di risorse creditizie, con la fornitura di attrezzature, con il sostegno di imprese locali, con l’adesione di altre società dell'Europa occidentale a questo progetto, con la fornitura di combustibili e con il suo utilizzo dopo tutto questo", ha detto Putin in una conferenza stampa dopo gli incontri.

Di fronte a Vladimir Putin il primo ministro bulgaro ha ribadito la posizione del governo sul progetto dell’oleodotto “Burgas-Alexandroupolis”. "Secondo gli esperti e la popolazione, violerebbe l’equilibrio ecologico nella zona ed è pericoloso per il turismo bulgaro. Comunque siamo ancora in attesa della valutazione di impatto ambientale, lasceremo agli esperti di decidere, ma grazie a Putin che mostra comprensione per la nostra posizione", ha detto Boyko Borisov.

Più tardi, i due primi ministri hanno visitato la Cattedrale di Alexander Nevsky di Sofia, dove si sono inchinati davanti alle reliquie di San Giovanni Battista, che qualche mese fa sono stati scoperte durante gli scavi di Sozopol. Si prevede che le reliquie rimarranno nella capitale per tre giorni.

Boyko Borisov ha regalato a Putin un cucciolo di “Pastore Karakaciano”, una razza bulgara.

Putin ha incontrato il suo partner di lunga data, il Presidente Georgi Parvanov, ma il loro ultimo colloquio non è durato più di mezz'ora.



Fonte: SofiaOggi.com

Sunday 14 November 2010

Corriere.it: Papa "predica" ritorno all'agricoltura

L'ANGELUS
Il Papa: «Cambiare modello di sviluppo, Serve un rilancio dell'agricoltura»
Appello di Benedetto XVI: «La crisi economica va presa in tutta la sua serietà. Basta stili di vita insostenibili»

CITTA' DEL VATICANO - «La crisi economica in atto, di cui si è trattato anche in questi giorni nella riunione del cosiddetto G20, va presa in tutta la sua serietà: essa ha numerose cause e manda un forte richiamo a una revisione profonda del modello di sviluppo economico globale». Il Papa lancia il suo monito durante l'Angelus. Secondo Benedetto XVI, la crisi «è un sintomo acuto che si è aggiunto ad altri ben più gravi e già ben conosciuti, quali il perdurare dello squilibrio tra ricchezza e povertà, lo scandalo della fame, l'emergenza ecologica e, ormai anch'esso generale, il problema della disoccupazione».

I GIOVANI TORNANO ALLA TERRA - Il pontefice chiede per questo motivo una «revisione profonda del modello di sviluppo globale». Serve lavoro, dice, la cui «importanza» per l'umanità non va mai dimenticata, e servono politiche contro la disoccupazione. Benedetto XVI auspica poi un «rilancio strategico dell'agricoltura», «non in senso nostalgico ma come risorsa indispensabile per il futuro». «Non pochi giovani - afferma - hanno già scelto questa strada; anche diversi laureati tornano a dedicarsi all'impresa agricola, sentendo di rispondere così non solo ad un bisogno personale e familiare, ma anche a un segno dei tempi, ad una sensibilità concreta per il bene comune»

CONSUMO INSOSTENIBILI - Il Papa aggiunge che «malgrado la crisi, consta ancora che in Paesi di antica industrializzazione si incentivino stili di vita improntati ad un consumo insostenibile, che risultano anche dannosi per l'ambiente e per i poveri». Benedetto XVI chiede perciò una «revisione profonda del modello di sviluppo globale». La«tentazione per le economie più dinamiche», nella economia della crisi, ammonisce il Papa, è quella di «ricorrere ad alleanze vantaggiose» ma «gravose per gli Stati più poveri», con prolungamento di «situazioni di povertà estrema di masse di uomini» e prosciugamento delle «risorse natuali».

Redazione online
14 novembre 2010

Fonte: Corriere.it

Wednesday 10 November 2010

LAltraSicilia.org: A Roma la Chiesa della Nazione Siciliana

SANTA MARIA ODIGITRIA DEI SICILIANI
Alphonse Doria
Siculiana, 26 ottuviru 2010


In questi giorni sono stato a Roma, con la mia “trinacria” all’occhiello, in bella vista. Da sempre non ho avuto l’inclinazione né per i simboli né per le etichette, ma il mostrare la “trinacria” lo sento come un dovere, perché siamo così in pochi noi sicilianisti che è necessario evidenziarlo. Così un conoscente mi sparò:

-Sei orgoglioso della Sicilia e dei Siciliani! Eh?

-Non è una questione di orgoglio. Amo la Sicilia! Amo il Popolo Siciliano! Come quando un uomo ama una donna, aldilà dell’orgoglio. Posso pure dirti che sono orgoglioso della mia sicilianità e del mio sicilianismo!

Risposi così pacatamente, anche se dentro di me riflettevo che vorrei fare di più per la mia Patria. Ecco cosa provoca il nostro atavico simbolo.

Questa mio sicilianismo attivo fa si che vado cercando ovunque ciò che testimonia l’identità nazionale della Sicilia. Ciò che è storia e cultura del nostro Popolo Siciliano. Perché spesso cercano di inculcarci nella nostra mente, nella nostra eredità culturale, che noi siamo un Popolo senza storia, senza identità.

Quasi ci vogliono convincere che noi Siciliani non siamo mai esistiti. Sono esistiti: Sicani, Siculi, Elimi, Fenici, Greci, Romani, Cartaginesi, Arabi, Spagnoli, Aragonesi, Angioini, Francesi, Svevi, Normanni, Italiani, gente di qualsiasi altra parte del mondo, ma mai indigeni, Siciliani! Qualcuno anzi sostiene che la popolazione indigena, anticamente era composta solo di giganti, rozzi, malvagi e cannibali ciclopi, lestrigoni. Questa leggenda nata un po’ dai ritrovamenti dei teschi degli elefanti nani, un po’ come personificazione dei nostri promontori, come Monte Erice, oppure l’Etna, soprattutto nati dalla fantasia dei nostri colonizzatori di turno.

Per la precisione il termine “sicano” ha origine dal mesopotamico accadico “sukano” che significa appunto stabilire, abitare, nel senso di ‘coloro che erano stabiliti, gli antichi abitanti, “indigeni”, del luogo.

Tu chi sei? Ti senti Siciliano? Lo senti nell’animo? Lo senti nel cuore? Allora c’è già chi incomincia sospettare di te, almeno sospetta … E “il sospetto è l’anticamera della verità” come disse il gesuitico Pintacuda. Ancora piangiamo il frutto della campagna razzista Piemontese, suffragata dalla pseudo scienza di Lombroso, alibi per la loro colonizzazione della nostra Patria Sicilia. Frutto della dura campagna denigratoria a spese del nostro Popolo con mezzi portentosi come cinema, televisione, giornali e altro, tanto da caricarci la croce, a livello internazionale, dell’atroce binomio Sicilia/mafia.

Nonostante ciò, ci siamo! Siamo quei sicilianisti, sparsi in tutto il mondo che non ci rassegniamo, a discapito di tutto e di tutti, orgogliosi di esserlo. Quindi esistiamo. Tanto da farci aiutare dalla locuzione cartesiana cogito ergo sum, e così dire: penso in siciliano, quinti sono un Siciliano, allora esisto!

Risolto il nostro problema esistenziale, scherzandoci su, ma non troppo, abbiamo la necessità di testimoniare concretamente questa nostra esistenza, con fatti e non solo a parole.

A mio avviso una forte testimonianza, prova dei fatti, è la chiesetta a Roma, in Via del Tritone al numero 82, tanto per intenderci, nei pressi della Fontana di Trevi, raggiungibile in metrò direzione Barberini, edificata per la protettrice della Nazione Sicilia: Santa Maria Odigitria dei Siciliani.

Il professore Santi Correnti, forse il più importante storico contemporaneo della storia siciliana, ad appoggiare la sua tesi di storia della Sicilia come storia del Popolo Siciliano nel suo libro, per l’appunto, STORIA DI SICILIA come STORIA DEL POPOLO SICILIANO nell’Introduzione al punto 3, nelle pagine 20 e 21 dell’edizione tascabile in mio possesso della Clio stampato nel 1995 per conto del Gruppo editoriale Brancato, scrive:

“E a quanto sopra riferito aggiungiamo, dal punto di vista della storia di
Sicilia come storia del popolo siciliano, che a Roma, accanto alle chiese nazionali di San Luigi dei frangesi, o di Sant’Agostino dei portoghesi, o della Madonna di Monserrato degli spagnoli, esiste ancora la chiesa “nazionale” dei siciliani, quella di Santa Maria dell’Itria in via del Tritone, fondata nel 1595 della comunità siciliana di Roma, che ancora reca la scritta “Proprietas Siculorum”; e ricordiamo che il concetto di “regno” è ancora così radicato nella coscienza popolare siciliana, che per indicare un forestiero che non intende il dialetto siciliano si dice che è di “fora regno”; crediamo che possiamo serenamente affermare la legittimità scientifica di una storia di Sicilia come storia del popolo siciliano, senza aver tema che essa possa essere qualificata di “pretesa ridicola”, come qualche illustre bacalare della cultura isolana vorrebbe che fosse. Sulla scia di maestri come Biagio Pace, Francesco De Stefano e Giuseppe Pitrè, noi teniamo quinti fermo il nostro principio già affermato nel 1956 con la prima edizione di questo volume e oggi qui ribadito, che la storia di Sicilia può essere concepita e attuata unicamente come storia del popolo siciliano.”


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Tuesday 9 November 2010

RussiaToday.com: L'America ed il dollaro, un destino segnato (Traduzione Il Consiglio)

Gli Stati Uniti hanno dichiarato una guerra finanziaria al mondo intero
9 novembre 2010

Non vi è alcuna possibilità di accordo al prossimo vertice del G20 perché gli Stati Uniti stanno dichiarando una guerra finanziaria contro gli altri paesi, ne è convinto l'economista americano Michael Hudson.

Gli Stati Uniti hanno spinto la Cina a rivalutare la sua moneta - in un momento in cui Washington ha pompato miliardi di dollari nella sua economia - una mossa letta da altri paesi come un tentativo di indebolire deliberatamente il biglietto verde.

La questione dei tassi di cambio dovrebbe essere uno dei punti di discussione più difficili al vertice del G20 in Corea del Sud di questa settimana.

Michael Hudson, un famoso economista e analista di Wall Street oltre che consulente finanziario, dice che la riunione a Seoul non metterà fine alle guerre valuta globale.

“Gli Stati Uniti stanno andando dalla Cina dicendo 'vogliamo che voi commettiate un suicidio economico come ha fatto il Giappone. Vogliamo che voi seguiate la stessa strada: vogliamo che voi rivalutiate la vostra valuta, vogliamo spremere le vostre aziende, vogliamo che voi andiate in bancarotta in modo da poter fare il nostro profitto a vostre spese”, spiega Hudson.

“Vogliamo che i cinesi consentano alle nostre banche di scommettere sulla valuta e di fare un guadagno enorme sulla speculazione in valuta estera in modo che le nostre banche possono uscire dal problema in cui le abbiamo ficcate. Ci aiuterete andando in bancarotta per il nostro bene? Beh, si può immaginare quello che i cinesi avranno da dire - stanno ridendo”, Hudson aggiunge.

Il piano americano di svalutare il dollaro potrebbe inondare l'economia globale con dei soldi che sarebbero utilizzati per comprare tutto quello che c'è di valore nei mercati locali, crede.

“Essenzialmente, si avrà un sistema finanziario americano con le banche in qualità di un esercito per razziare valute estere”.

Gli Stati Uniti tradizionalmente rompono tutte le promesse fatte ad altri paesi, perche 'se non ci sono sanzioni - non c'è accordo', che poi è stata la via della diplomazia americana per gli ultimi 50 anni, dice l'economista.

“Gli accordi per gli altri sono da seguire, non gli Stati Uniti Costoro si pongono al di là degli accordi.”

La Cina ha finanziato il deficit di bilancio americano con US $ 2.500 miliardi mentre gli Stati Uniti hanno speso i soldi nel militare, costruendo basi di tutto il mondo. Si tratta di intraprendere azioni aggressive verso il creditore, interferendo nelle sue acque, ritiene Hudson.

Dice che la reazione della Cina è: “Tu ci chiedi di pagare per il tuo budget militare? Ci minacci per farci fare quello che vuoi che facciamo? Devi essere pazzo!”

Il presidente Barack Obama non ha alcuna influenza per indurre la Cina a fare le cose desiderate. Il favore che chiederà ai membri del G20 significa letteralmente “La prego di accettare i nostri soldi di carta, anche se non abbiamo modo di pagare per questo e anche se non potremo mai ripagare questi debiti, la prego di accettare e farci comprare il vostro immobile e le aziende con i dollari che non verranno mai ripagati”, dice Hudson.

Allo stesso tempo gli Stati Uniti si rifiutano di fare ciò che la sua creazione, l'FMI, esige da tutti gli altri paesi in caso di deficit di bilancio: alzare i tassi di interesse e di privatizzare le industrie.

“La Cina sta trattando le riserve in dollari USA come una patata bollente”, dice. “Vogliono fare due cose: prima di tutto che vogliono reciprocare e acquistare società statunitensi - proprio come gli Stati Uniti volevano comprare in Cina. Gli Stati Uniti dicono che 'noi non ti lasceremo comprare stazioni di servizio qui o raffinerie'. Non si può comprare in America. Siamo in grado di acquistare da voi, non si può comprare in America.”

Naturalmente, l'America vede la Cina come un potenziale nemico ed è per questo che è in cima alla lista del Pentagono dei nemici strategici. Quindi la Cina non è più adatta a finanziare la macchina da guerra americana.

“Il debito Usa è un asset di qualcun altro.”

“L'America non potrà mai pagare il debito estero del governo che deve in alcun modo”, l'economista crede. I paesi BRIC hanno concordato al vertice nella città russa di Ekaterinburg, nel 2009, di ridurre gradualmente il fatturato di dollari per evitare di raccogliere ancora più debito americano che non verrà mai pagato.

“L'effetto del “quantitative easing” da parte della Fed è quello di trasformare il dollaro in una valuta senza valore che tutti cercano di evitare perché nessuno la vuole, non è possibile utilizzarli per investire negli Stati Uniti a causa del nazionalismo, in altri paesi non vogliono dollari - Qual è il punto di accettare più dollari?” domanda Hudson.

Egli ritiene che il tempo del dollaro come valuta di riserva è finita e la questione adesso è come andrà a finire - in un modo lento e graduale o in qualche altro modo.






Come potranno gli USA mantenere le loro basi militari nel mondo se nessuno vuole più i suoi dollari?

Fonte: RussiaToday.com

La Sicilia: Ma quali neri e neri, il jazz lo hanno inventato i Siciliani!

Il triangolo d’oro del jazz siciliano
«Un prestigioso direttore Usa per esportare all’estero i talenti della zona orientale dell’Isola»
Giuseppe Attardi
Lunedì 08 Novembre 2010


Con 800 abbonati e più di 10mila presenze totali, è tra le rassegne musicali che registra la maggior affluenza di pubblico, tanto da essere candidata a ospitare nel 2012 il meeting annuale dell'Europe Jazz Network. Risultati importanti che stimolano Catania Jazz a proseguire sulla strada intrapresa, presentando un prestigioso cartellone per la ventottesima stagione concertistica 2010/2011, e, soprattutto, investendo il patrimonio d'esperienza e di stima sulle realtà locali.

Ue Jazz Network nel 2012 a Catania

Ai quattro eventi nazionali in esclusiva sui sette concerti in programma, infatti si affiancano la produzione discografica di Agata Lo Certo e di Beatrice Campisi e la nascita della Catania Jazz Orchestra che sarà assemblata con strumentisti locali nel corso di un laboratorio che si svolgerà nella prima settimana di aprile e che sarà condotto dal musicista, compositore e direttore d'orchestra americano Lawrence D. "Butch" Morris, uno dei più apprezzati "costruttori di ensemble" nel mondo.

«Tutto è partito da una intervista di Enrico Rava - racconta il direttore artistico Pompeo Benincasa dalla Finlandia, dove ha presentato in questi giorni la candidatura ufficiale di Catania per ospitare l'Europe Jazz Network - Il trombettista disse di aver trovato uno straordinario fermento jazz nella Sicilia orientale. Una realtà, in effetti, già confermata dai successi internazionali di artisti come Panascia, Cafiso e Quartarone. Adesso noi vogliamo fare emergere questo serbatoio. Ci serviva un catalizzatore per rendere visibile il progetto. Con Morris abbiamo firmato un contratto di tre anni per raggiungere questo obiettivo. Che comincia quest'anno con un'orchestra di 12/13 elementi, che potranno essere intercambiali in futuro, nell'intento di esportare il prodotto, prima nei festival italiani e poi all'estero».

La Sicilia protagonista del jazz, a livello mondiale. Corsi e ricorsi storici. La scena di New Orleans, all'inizio del Novecento, era piena di italiani ed i siciliani erano uno dei gruppi etnici più presenti. C'era addirittura una linea diretta di navi Palermo-New Orleans. Nel primo disco di jazz, della Original Dixieland Jazzband, il trombettista è Nick La Rocca, un siciliano. E' lui che ha scritto Tiger Rag, che è uno dei classici del jazz tradizionale. Il primo chitarrista a suonare in modo moderno era Eddie Lang, il cui vero nome era Salvatore Massaro. «Che il jazz sia stato fatto dai neri, il gruppo più consistente, dagli ebrei e dagli italiani, è un dato storico - afferma Enrico Rava - In Italia, invece, per colpa del fascismo, è arrivato tutto in blocco subito dopo la guerra, e noi eravamo di vent'anni indietro rispetto a tutti gli altri, quindi ci abbiamo messo un po'. E' stata dura, ma oggi finalmente abbiamo una grande quantità di musicisti».

Due progetti al femminile

Se l'orchestra Catania Jazz è in fieri, in primavera sono già programmati i dischi di Agata Lo Certo e Beatrice Campisi, due grandi voci femminili siciliane. Oltre ad aprire due serate della rassegna, saranno protagoniste assolute del "fuori programma" del 6 maggio, nel corso del quale presenteranno i loro rispettivi album.

Per Agata Lo Certo si tratta di un rilancio, cinque anni dopo il debutto per la "Due parole", l'etichetta discografica di Carmen Consoli, con Mutevoli sensazioni. «E' stata una esperienza formativa per me - spiega l'artista catanese - grazie a Carmen sono riuscita a esprimere meglio me stessa, sono diventata una cantautrice e oggi scrivere è diventata per me una necessità primaria. Se non ci fosse stato quell'inizio forse oggi non ci sarebbe stata questa nuova opportunità».

Il progetto con Catania Jazz è nato "sul campo". «Mi hanno chiamata ad aprire alcuni concerti di Noa - racconta Agata Lo Certo - E da lì è cominciata questa nuova avventura che mi consentirà di concretizzare tutto il materiale accumulato in questi ultimi anni. Credo di aver lavorato tanto su me stessa, avevo poca autostima e la mia timidezza non mi permetteva di mostrarmi per quello che sono davvero. Ho cercato di affinare la mia personalità artistica».

Agata Lo Certo tra Sicilia e bossa nova

Importante in questo percorso di rinascita anche la partecipazione al Festival della canzone siciliana, «che, dopo una fase "down", mi ha fatto riprendere la voglia di scrivere, di mettermi in gioco, di rialzarmi e, nello stesso tempo, di far affiorare i legami con le mie radici». E il pubblico e le giurie del Festival di Antenna Sicilia l'hanno premiata, a conferma del talento, ancora inespresso totalmente, dell'artista.

«Nel nuovo disco scoprirete la nuova Agata Lo Certo - annuncia - Un'artista più convinta dei suoi mezzi e che ha trovato il coraggio di mostrare tutta sé stessa, rimettendo assieme tutti i tasselli delle precedenti esperienze, tutto il background accumulato, dalla cantante dei pub che interpretava Joni Mitchell alla bluesinger, dalla cantautrice di Mutevoli sensazioni alla bossa nova e al jazz, sino alla canzone siciliana, perché almeno un brano in dialetto ci sarà».

Fonte: La Sicilia

Monday 8 November 2010

SiciliaToday.net: Anche i Borbone confiscarono i beni della Chiesa Siciliana?

Lo storico Carlo Ruta riporta a galla una vicenda poco conosciuta: non furono i Savoia i primi ad approfittare delle ricchezze della Chiesa Siciliana. Anche i Borbone nel '700 ricorsero allo stesso trucchetto, mirante forse anche ad indebolire l'autonomia del Regno di Sicilia.

Tra i potenti e la povera gente
di Carlo Ruta
Nov 5, 2010


Quando, il 20 settembre 1870, cadde Roma, e con essa l’ultimo tassello dello Stato Pontificio, entrava nel vivo una questione condizionante, in grado di competere, per certi versi almeno, con quella meridionale, che pure andava assumendo caratteri tipicamente militari, e con quella sociale, avvertita già a tutti i livelli. Da allora, i governi sabaudi, che si erano trovati nella necessità di attingere alle risorse della Chiesa per saldare i deficit dei bilanci di Stato, dovettero fare i conti fino in fondo con le tradizioni del paese reale, che, a dispetto del dilagante anticlericalismo, insistevano a trovare punti di forza nell’autorità morale dei campanili, delle parrocchie, delle diocesi, lungo tutto il territorio nazionale. La determinazione non venne meno, beninteso. Da vincitore, e da Stato laico, il regno sabaudo continuò a fare le regole, mentre la Chiesa dei pontefici, non più garantita dalla Francia di Napoleone III, reduce della mortificazione inferta da Bismarck a Sedan, si ritrovò confinata in uno spazio ristretto, nei palazzi vaticani, da cui dovette abituarsi a recitare la parte della grande sconfitta. Essa scelse, come è noto, l’ostilità strategica, che Pio IX sintetizzò nella formula del non-expedit, con cui veniva motivata l’inopportunità della partecipazione del clero alla vita politica del paese. Il Tevere divenne allora un fossato profondo, fino ad apparire insuperabile. E tale processo, di scollamenti e discordie, seguì in Sicilia un percorso coerente, legato nondimeno alle tipicità di alcune tradizioni.

Il clero dell’isola non era nuovo alle mortificazioni del potere pubblico, recando dietro un lungo iter di contenziosi, più o meno irrisolti. La nota «controversia liparitana» aveva fatto in qualche modo scuola. Aveva costituito comunque uno shock epocale, negli anni settanta del XVIII secolo, la confisca dei beni ecclesiastici pianificata da Napoli dal primo ministro Tanucci e condotta localmente dal vicerè Fogliari. Era stata, allora, la risposta dei Borboni al debordante potere economico che in Sicilia avevano acquisito in particolare i gesuiti, detentori, con altri ordini religiosi, di un terzo della intera superficie agraria. Nei decenni successivi la Chiesa siciliana aveva recuperato comunque il terreno perduto, per presentarsi negli anni clou dell’unificazione con un patrimonio cospicuo, indisponibile alle esigenze demaniali e dei ceti emergenti. La situazione dopo il 1861, agitata appunto dalle ideologie e dalle culture anticlericali, ma pure da bisogni del Tesoro, progredì quindi nella direzione sperimentata dai Borboni di Napoli. Gli effetti del decreto regio del 1867, che aboliva gli enti morali della Chiesa e ne confiscava i patrimoni, furono nell’isola non da poco. I beni delle diocesi finirono all’asta, per essere assunti infine da un ceto distinto, di estrazione borghese, che aveva partecipato in buona misura all’insurrezione e alle guerre garibaldine. Avrebbe potuto essere l’incipit di una rivoluzione agraria. Ma le cose andarono diversamente. Prevalse il principio della conservazione, mentre progrediva, negli ambiti stessi di quel notabilato, in bilico fra istanze democratiche e vecchie aristocrazie, una leva d’«ordine», di facinorosi, di cui per primo Raimondo Franchetti seguì i movimenti. Ma come reagì la Chiesa siciliana alla nuova umiliazione?

Coordinandosi con le difficoltà del tempo, il clero adottò, in via generale, una linea minimalistica. Ritiratasi dalla politica e dagli affari di Stato, la Chiesa scelse di correlarsi con la vita reale, delle città e delle campagne, occupando gli spazi sociali che, per via delle nuove contingenze, erano ancora preclusi allo Stato sabaudo, che d’altronde, prima da Torino, poi da Firenze, infine da Roma, imponeva la propria autorità con l’attivismo, più o meno truce, dei prefetti. A dispetto di tutto, essa continuò a interessarsi dell’educazione dei ragazzi. La legge Casati del 1859, che laicizzava l’istruzione, se aveva escluso infatti l’insegnamento religioso dalle scuole superiori, lo manteneva in quelle elementari. Per alcuni limiti formali in sede legislativa, la situazione rimaneva tale d’altronde dopo il varo della riforma Coppino del 1877. Come bene avrebbe rilevato Gramsci, la chiesa cattolica, forte del proprio radicamento, tanto più nel Mezzogiorno rurale, era legittimata comunque a rappresentare il mondo contadino, in condominio con il nascente socialismo. Se nella prassi politica le ragioni laiciste rimanevano allora preponderanti, sul terreno sociale, il prete, il vescovo, altre figure del clero, rimanevano essenziali. E soprattutto a quel punto in Sicilia come altrove, il mondo cattolico, fu indotto a coinvolgersi nelle questioni, a dividersi quindi, fino a rivelare due anime, compatibili e tuttavia distanti.

Da una parte si manifestava una Chiesa liturgica, che associava la tradizione al censo, il latinorum alle istanze dei potentati territoriali. Era già in cammino, evidentemente, la Chiesa che avrebbe prevalso nel primo Novecento, dagli anni del fascismo al dopoguerra. Dall’altro lato si poneva in gioco il cattolicesimo sociale, quello della povera gente, che con poche risorse ma con princìpi irrinunciabili avrebbe scortato le emergenze del secolo e di quello successivo. Con l’enciclica Rerum Novarum, Leone XIII cercò di trovare un punto di mediazione tra tali due realtà, riconoscendo legittimità alla questione operaia, mentre in Sicilia, da Caltagirone, il prete Luigi Sturzo maturava l’idea di un movimento politico, che chiamasse in causa la questione meridionale, facendo leva sul mondo contadino, attraverso gli strumenti della cooperazione, delle casse rurali, per combattere l’usura, dell’associazionismo. Negli anni della Destra come in quelli della Sinistra la questione contadina andò giocandosi in ogni caso nelle città, nelle borgate, nelle campagne, talvolta con effetti clamorosi, come quando, sotto il governo Crispi, la crisi economica, accentuata dalla guerra commerciale con la Francia e dalla diffusione della fillossera, che già negli anni ottanta aveva distrutto gran parte dei vigneti siciliani, fece erompere i bubboni del latifondo e delle miniere di zolfo. Le due linee del mondo cattolico emergevano allora con perentorietà.

I Fasci dei lavoratori, che percorsero la Sicilia nei primi anni novanta, non coinvolsero solo contadini ed operai sensibili alle dottrine socialiste. Nelle piazze e nelle campagne, dove si manifestava contro le vessazioni feudali, con naturalezza i ritratti di Garibaldi e Mazzini venivano coniugate con le icone di Cristo e perfino dei santi patroni. Si trattava appunto del cattolicesimo più in basso, che, a dispetto di tutto, cominciava a interloquire con le associazioni socialiste. Altro fu invece l’atteggiamento del clero ufficiale, che in quasi tutte le diocesi censurò in modo emblematico il movimento, prendendo le difese dei latifondisti e dei proprietari di zolfare. In un primo momento il vescovo di Caltanissetta Giovanni Guttadauro dimostrò un qualche riguardo per le rimostranze popolari, ritenendo che non se ne potessero dissimulare le cause. Ma nel 1894, quando la repressione di Crispi chiudeva i conti con i Fasci, con il risultato di oltre 150 morti, precisò la propria opinione, affermando che le plebi erano state illuse «da istigatori malvagi e da ree dottrine». E in modo analogo si espressero altri prelati, dal vescovo di Noto Giovanni Blandini, che definì «stoltizia» l’aspirazione a una distribuzione equa dei beni, al cardinale di Palermo Michelangelo Celesia, che si congratulò di persona con commissario regio Roberto Morra di Lariano, pianificatore delle stragi che posero fine al movimento.

Negli anni successivi il cattolicesimo dal basso continuò a operare in difesa della dignità umana. Nei primi decenni del Novecento ebbe pure i suoi morti, come Giorgio Gennaro, ucciso a Ciaculli nel 1916, Costantino Sella, ucciso a Resuttano nel 1919, Stefano Baronia, ucciso a Gibellina nel 1920. Introdottasi nel nuovo ordine di cose, la Chiesa ufficiale assumeva invece lo status di potere fra i poteri, con la sanzione dei Patti Lateranensi. La continuità di tale status negli anni della repubblica fu poi un esito congiunto del ceto politico guidato da De Gasperi e delle gerarchie di Pio XII. Alla guida dell’arcidiocesi di Palermo finiva a quel punto il cardinale Ernesto Ruffini, secondo cui la mafia era solo un’invenzione per colpire la DC e i siciliani. Con l’avvento di Giovanni Roncalli e con i percorsi della Chiesa post-conciliare pure nell’isola si sarebbe aperto comunque il tempo delle rettifiche.

Fonte: SiciliaToday.net

LiveSicilia.it: Direttore Sole24Ore cita la Wikipedia in Siciliano

Non è vero che “cu nesci arrinesci”
di Giorgia Butera
domenica 7 novembre 2010


Gianni Riotta, palermitano di nascita, oggi si trova alla guida del giornale Il Sole24 Ore. Nel 2008 le riviste Foreign Policy e Prospect lo hanno incluso nella classifica dei “Cento intellettuali internazionali più influenti al mondo”. Ha lavorato presso il canale Radio3 della Rai e Il Manifesto prima di trasferirsi a New York per il settimanale L’Espresso. Dal 1986 al 1988 è stato inviato speciale per il quotidiano La Stampa e, ha poi ricoperto il ruolo di inviato speciale negli Stati Uniti per il Corriere della Sera di Ugo Stille. Per Il Corriere ha varato il primo forum online “Pensieri e Parole”, creando la sezione sondaggi e focus group del sito web. Direttore del TG1 della Rai, dal 2006.

Direttore, che stagione politica da un punto di vista economico-sociale sta vivendo l’Italia?

“Confusa. La maggioranza non riesce a risolvere i suoi problemi. Con l’uscita dal PdL del Presidente della Camera Fini ed, il Presidente Berlusconi troppo preso a risolvere i suoi guai giudiziari, nessun progresso avviene. A questo si aggiunge la posizione di stagno in cui regna l’opposizione”.

Possibili scenari futuri?

“A noi giornalisti tocca fare le analisi. Ricordo che un allenatore di baseball, diceva che non bisogna mai fare previsioni”.

E la Sicilia?

“Seguo la politica siciliana, ma non conosco così bene le vicende per poterne entrare in merito. E’ certo che la azione di sviluppo della legalità sta portando la Sicilia ad una svolta, se si vuole anche culturale. plaudo al Presidente di Confindustria Ivan Lo Bello, per la sua azione di contrasto all’illegalità. Uno storico presidente di Confindustria, La Cavera, affermava che, la battaglia doveva iniziarsi prima. Io dico che, per fortuna ci si è arrivati”.

La crisi economica è più forte in Sicilia che, nel resto d’Italia?

“La crisi che sta attraversando il nostro Paese è la più imponente dopo quella del 1929; in Sicilia indubbiamente il richiamo è più forte, lo spostamento dei fondi non è sempre puntuale. Noto comunque dei segnali incoraggianti; ad esempio nel settore enologico. Altri start-up, devono essere raggiunti”.

Quali?

“E’ inaccettabile, se non ridicolo che, il numero delle presenze turistiche in Sicilia in un anno, eguagli quelle della costiera romagnola registrate in una sola stagione. Bisogna sviluppare un turismo di qualità, un turismo mirato”.

Secondo Lei, un giovane siciliano, ha più coraggio se rimane in Sicilia o se va oltre lo Stretto, per cercare nuove fortune?

“Non è vero il detto “Cu nesci arrinesci”. Bisogna uscire dalla mentalità che gli altri faranno per te. Internet ha indubbiamente rivoluzionato il mondo; la Sicilia parla al mondo ed il mondo parla alla Sicilia, senza bisogno di spostarsi. Basta con lo scetticismo di maniera”.

In ultimo?

Da palermitano, da siciliano, sono felice che l’Unesco abbia riconosciuto come lingua il dialetto siciliano e che Wikipedia, abbia iniziato la traduzione in siciliano, di alcune parole”.

Fonte: LiveSicilia.it

Sunday 7 November 2010

CataniaPolitica.it: Le nuove stranissime alleanze alle falde dell'Etna

I mal di pancia Mpa contro Bianco: vuole fare il Sindaco di Firrarello

Pubblicato il 6 - novembre - 2010

Il sen. Giovanni Pistorio, capogruppo del Mpa al Senato, intervenendo sugli attacchi del sen. Bianco al presidente della Regione Raffaele Lombardo, ha detto: “L’indignazione in tutte le salse che il sen. Bianco manifesta circa il sostegno del Pd siciliano al presidente Lombardo per il suo coinvolgimento in una vicenda giudiziaria per fatti che la Procura e il Gip hanno ritenuto non degne di considerazione, è solamente la strumentale foglia di fico di un suo spregiudicato disegno politico, perseguito da tempo, per tornare a fare il sindaco di Catania come candidato del Pdl catanese del senatore Pino Firrarello”.

“Il sen. Bianco, infatti – ha aggiunto Pistorio – pur dovendo perseguire il suo personale obiettivo in una condizione di disperata solitudine all’interno del Pd, sa di potere contare sulla parte etnea del Pdl, tanto che il cocoordinatore siciliano, onorevole Giuseppe Castiglione, anche pubblicamente ormai, afferma di volere sostenere l’ex sindaco nella sua nuova affannosa rincorsa alla carica di primo cittadino del capoluogo etneo, come se di fatto avessero dato vita a un partito unico”.

“Ancora una volta, in sostanza – ha concluso il senatore Pistorio – per Enzo Bianco il destino politico personale deve prevalere su quello del suo partito: poco conta se poi egli, per la facciata, ogni giorno si erga a strenuo interprete della retorica della difesa del bipolarismo”.

Fonte: CataniaPolitica.it

Wednesday 3 November 2010

IlSole24Ore.com: Scontro stato-Regione, lo stato ha già vinto

Il contenzioso sul federalismo inizia in Sicilia

di Enrico De Mita
24 ottobre 2010

È cominciato il contenzioso costituzionale relativo al federalismo fiscale. È una regione a statuto speciale, la Sicilia, a sollevare una serie di questioni per violazione dell'articolo 36 dello statuto speciale, più precisamente l'impianto di tale articolo, nonché gli articoli 32, 33, 43. Delle quattro questioni sollevate, tre sono state dichiarate inammissibili e la quarta infondata con la sentenza 201/2010.
Ciò farebbe pensare a una forzatura nella formulazione delle questioni di costituzionalità. Il giudizio di inammissibilità non è di poco conto ed è stato formulato dall'Avvocatura di Stato e poi accolto dalla Corte. In proposito va detto che l'articolo 1, comma 2 della legge delega 42/2009 sul federalismo fiscale, non impugnato dalla Sicilia, dispone che ai territori a statuto speciale «si applicano, in conformità agli statuti, esclusivamente le disposizioni di cui agli articoli 15, 22, 27 della medesima legge». Pertanto tutte le censure prospettate dalla regione Sicilia, ad eccezione di quella sull'articolo 27 hanno ad oggetto norme la cui applicazione è espressamente esclusa dalla legge censurata. Può sembrare una tesi che prova troppo, ma dal punto di vista letterale è ineccepibile.

Nonostante tale statuizione, la Sicilia afferma che tutte le disposizioni denunciate appaiono direttamente applicabili anche alla regione siciliana «o comunque incidono sulle potestà regionali, in violazione delle prerogative statutarie ad essa assegnate». Questo rilievo è stato confutato dall'Avvocatura di Stato come segue: quand'anche le norme denunciate dovessero ritenersi applicabili anche alla regione ricorrente, non discenderebbe l'effetto del «notevole squilibrio» delle risorse finanziarie regionali, trattandosi comunque di principi di delega il cui effetto lesivo «potrebbe essere solo delle norme delegate». Si possono dunque prevedere altri ricorsi con un contenzioso politico di non poco conto.

Accogliendo il giudizio di inammissibilità la Corte ha negato che gli articoli 8, 10, 12 e 19, ancorché ad essa non applicabili, «interferiscano sull'impianto dell'articolo 36 dello statuto e sulle risorse sinora attribuite alla Sicilia, incidendo sul complesso sistema di definizione dei rapporti tributari finalizzato all'attribuzione di gettito finanziario al sistema del federalismo fiscale regionale». Tale affermazione della ricorrente è giustamente ritenuta dalla Corte generica, occorrendo invece «una sicura esegesi del dato normativo, privo di plausibile alternativa». Questo giudizio toglie rilievo giuridico alle questioni sollevate, che possono interessare l'aspetto politico ed economico. I temi coinvolti nel ricorso sono il gettito dei cespiti tributari, le sue riduzioni a causa della compartecipazione ai tributi riferibili al territorio, le attribuzioni alle regioni e agli enti locali di un proprio patrimonio contraddetto dalla determinazione da parte dello stato di una apposita lista dei beni da attribuire. In sintesi il sistema di finanziamento prefigurato dalla legge delega determinerebbe una sottrazione di parte del gettito tributario spettante alla Regione in base all'articolo 36 dello statuto e al Dpr 1074/1965. Infatti - argomenta la ricorrente - la Sicilia è titolare «di tutto il gettito dei cespiti tributari secondo il sistema delineato dalle disposizioni richiamate», parte del quale dovrebbe alimentare anche il finanziamento degli enti locali. La ricorrente afferma che la normativa impugnata, per finanziare le spese degli enti locali, prevede il ricorso a risorse non dello stato, ma della regione, che subisce una riduzione del gettito tributario a causa delle compartecipazioni, senza che siano previsti «meccanismi compensativi». Inoltre - si evidenzia ancora nel ricorso - l'onere finanziario di tale compartecipazione ai tributi erariali in favore degli enti locali a carico della regione è indeterminato, con la conseguenza che il meccanismo - già in sé lesivo degli articoli 36 e 37 dello statuto - «pregiudicherebbe la possibilità per la regione di esercitare le proprie funzioni per carenza di risorse finanziarie», così violando anche gli articoli 81 e 119, comma 4, della Costituzione.

L'ultima questione è stata ritenuta infondata dalla Corte perché il «tavolo di confronto» e la conferenza permanente tra lo stato e le regioni a statuto speciale hanno composizione, funzioni e ambiti operativi diversi. L'organo statutario è il titolare di una speciale funzione di partecipazione al procedimento legislativo, mentre il tavolo di confronto ha una funzione politico-amministrativa non vincolante per il legislatore, di carattere consultivo, nell'ambito della conferenza permanente fra stato ed enti locali e le autonomie speciali per quanto attiene ai profili programmatici e finanziari del federalismo fiscale. Il tavolo non è quindi una duplicazione della conferenza paritetica, prevista dall'articolo 43.

Fonte: IlSole24Ore.com