Thursday, 30 December 2010

Financial Times: Gli USA presto dovranno abbandonare il Pacifico (Traduzione Il Consiglio)

Missile Cinese sposta asse del potere nel Pacifico
Kathrin Hille
29 settembre 2010


Un nuovo missile anti-nave (ASBM) cinese che modificherà significativamente l'equilibrio di potere militare nel Pacifico è operativo, secondo un alto comandante USA.

L'Ammiraglio Robert Willard, comandante degli Stati Uniti nel Pacifico, ha detto che il missile balistico cinese, progettato per minacciare le portaerei degli Stati Uniti nella regione, ha raggiunto "la capacità operativa iniziale".

Le sue osservazioni segnalano come la Cina stia sfidando la capacità degli Stati Uniti di proiettare la propria potenza militare in Asia molto prima di quanto molti si aspettassero.

Gli Stati Uniti e altri paesi della regione del Pacifico sono sempre più preoccupati per la rapidità con cui la Cina sta sviluppando la sua potenza navale.

“Quindi ora sappiamo – [il missile balistico anti-nave] Cinese non è più solo un'aspirazione,” Andrew Erickson, un esperto militare cinese presso la US Naval War College, ha detto in risposta alle osservazioni rilasciate dal Ammiraglio Willard al quotidiano Asahi.

gli analisti della difesa hanno chiamato il missile Dongfeng 21D un “capovolgimento di fronte” dal momento che scoraggerebbe le portaerei USA dall'entrare in acque dove la Cina non le vuole.

Il missile basato a terra è stato progettato per essere puntato contro gruppi di portaerei con l'aiuto dei satelliti, di veicoli aerei senza pilota e di radar oltre-orizzonte.

Nel mese di settembre, Robert Gates, segretario alla difesa Usa, ha detto che lo sviluppo di un tale missile avrebbe costretto il Pentagono a ripensare il modo in cui le portaerei sono schierate.

“Se i cinesi o qualcuno altro ha un missile cruise o balistico ad alta precisione anti-nave in grado di colpire un vettore a centinaia di chilometri di distanza e così in Asia ci mette dietro la seconda catena di isola, come puoi usare i vettori in modo diverso in futuro?” Mr Gates ha chiesto.

La seconda catena di isole va dal Bonins lungo le Marianne, Guam e Palau, formando una linea nord-sud ad est del Giappone e delle Filippine. Questa linea definisce ciò che la Cina considera il suo “mare vicino” - acque in cui la marina militare degli Stati Uniti ora spesso opera e sono sede di basi navali degli Stati Uniti e degli alleati.

L'Ammiraglio Willard, all'inizio di quest'anno ha rivelato che l'ASBM Cinese era in un'ampia fase di testaggio ed era prossimo ad essere schierato. Gli osservatori credono che la Cina abbia iniziato la produzione di motori per missile lo scorso anno e che stia preparando una base missilistica nucleare nella città meridionale di Shaoguan per il loro schieramento.

Il termine "capacità operativa iniziale", come usato dal Pentagono indica che alcune unità militari hanno iniziato lo spiegamento delle armi e sono capaci di utilizzarle.

L'Ammiraglio Willard ha detto che la nuova arma cinese non è ancora pienamente operativa e sarà probabilmente sottoposta a test per "qualche altro anno". Il test chiave che rimane è una prova di tutto il sistema in mare.

Fonte: Financial Times

Wednesday, 29 December 2010

La Sicilia: Masturbazioni mentali di un post-risorgimentale

Il Rapporto Immaginario tra la Sicilia e lo Stato
L'Isola dei miti da Garibaldi «eroe liberatore» all'ansia di riscatto
Martedì 28 Dicembre 2010
Enrico Iachello


Gli storici conoscono (e provano, ma è affare più difficile per la complessità della cosa, a valutarne di volta in volta l'impatto) il ruolo dell'immaginario sociale e della "battaglia" che attorno ad esso si gioca nello svolgersi di processi ed eventi "reali". L'immaginario non esaurisce la "realtà", ma certamente ne fa parte. L'immaginario sociale si nutre di miti che ne costituiscono l'articolazione, spesso l'affermazione. Nella vicenda nazionale della Sicilia, cioè negli ultimi 150 anni, l'immaginario dei siciliani (e sui siciliani) ha subito profonde trasformazioni che non è qui possibile neanche accennare pena un lungo elenco che il lettore troverebbe insieme faticoso e sommario. Più opportuno allora soffermarsi, nella ricorrenza del 2011, su qualche considerazione che tenti di esprimere in estrema sintesi l'articolarsi del rapporto "immaginario" (ma anche reale per quel che sopra dicevamo) tra l'isola e lo stato unitario.

Punto di partenza quello costitutivo della nuova nazione che proprio in Sicilia trova con la spedizione garibaldina la spinta determinante. Il mito è qui rappresentato da Garibaldi che incarna l'eroe liberatore: in Sicilia da eroe Garibaldi si fa mito per la rapidità con cui sbaraglia l'esercito borbonico, ma anche per i tratti mitologici che assume la sua figura. Canti e leggende popolari lo rendono da una parte l'eroe protetto da Santa Rosalia (è la leggenda del braccialetto che la Santa gli dà per impedire ai proiettili di colpirlo), dall'altra il Cristo "umanizzato" e laico della tradizione massonica. Attorno all'esperienza garibaldina, forte di un ampio consenso popolare, si salda la corrente democratica che, se pur sconfitta da Cavour, caratterizzerà il rapporto dell'isola con lo stato unitario. Dapprima in termini propriamente "garibaldini": nel 1862 Garibaldi dalla Sicilia prova a ripartire per liberare Roma e Venezia e gli equilibri politici del nuovo Stato. Ancora una nuova sconfitta. Ma a partire dal mito garibaldino la Sicilia si sente protagonista, finché le elezioni del 1874 consacrano l'affermazione della Sinistra e il mutamento dei rapporti politici in Italia. Un siciliano dei Mille, Crispi, sarà sul finire del secolo colui che tirerà le file di questa lunga marcia per ricomporre attorno al mito di Garibaldi "eroe disciplinato" l'immaginario nazionale: nel momento in cui inaugura sul Gianicolo nel 1895 il monumento a Garibaldi, Crispi lo inserisce nel pantheon ufficiale della nazione e gli pone accanto Vittorio Emanuele II.

La storia successiva si popola di immagini contraddittorie. Nel corso del primo Novecento l'élite palermitana, Florio inclusi, rielabora e rilancia il mito del sicilianismo e del complotto antisiciliano per far fronte alle difficoltà che pongono i nuovi processi sociali e politici di una società di massa passando attraverso gli effetti destabilizzanti della crisi agraria. Si elabora e si afferma l'immaginario "riparazionista" (dei torti subiti) che tanta fortuna avrà nell'immaginario isolano, destinato a riemergere, sia pure ormai svigorito, quasi fenomeno carsico, dal 1946 (Statuto della Regione, art. 38) ai nostri giorni, ma anche ad alimentare un'altra mitologia "dotta": quella dell'identità siciliana custode di valori arcaici, passata indenne nel tempo grazie al suo "isolamento" e al suo "immobilismo": precipitano e convergono in questa visione - di cui Sciascia in seguito sarà l'esponente e l'artefice più alto - elementi diversi e divergenti. La fortuna della lettura del Gattopardo nella chiave del «tutto cambia perché nulla cambi» è spia del radicamento di questo mito a livello "alto" oltre che "basso". Ma il suo successo è frutto del sincretismo di miti "conservatori" (la nazione siciliana) e miti "rivoluzionari": riparare l'ingiustizia secolare cui il popolo siciliano è stato sottoposto, dai suoi invasori (ci sarebbero paradossalmente anche gli italiani definiti all'uopo "piemontesi"), ma anche da una classe dirigente "feudale" e mafiosa (la lettura di "sinistra") che appunto lo ha tenuto nell'immobilità.

Il rapporto con lo Stato unitario si assesta a livello di una richiesta di risarcimento (e sarà, con la storia tormentata dell'art. 38, la Cassa del Mezzogiorno, sperimentati e vanificati la riforma agraria - "la terra ai contadini" - e i grandi insediamenti industriali). Il mito "sicilianista" si ingrotta allora nel rassicurante assistenzialismo di un'autonomia regionale sorretta dalla "solidarietà" nazionale e si avvita politicamente su se stesso in patti più o meno taciti (anch'essi destinati a riprodursi sino ai nostri giorni) tra governo e opposizione a Palazzo dei Normanni. La "sicilianità" si rifugia frattanto nella metafora letteraria e nel folklore (si pensi alla Sicilia cinematografica, o alle analisi della sociologia/antropologia anglosassone e al suo "familismo amorale"), ma riesce anche a trasformarsi - ancora Sciascia - in atto di accusa e in ansia generale e generica di riscatto.

Non ci si faccia ingannare dalle congiunture politiche attuali: anche se oggi sembrerebbe rimergere, il sicilianismo è in gran parte ai margini dell'immaginario sociale siciliano (nonostante - ripeto - i tentativi di risuscitarlo con accanimento terapeutico da parte dei "leghisti" del Sud). I giovani alfabetizzati ed europeizzati della Sicilia contemporanea, gruppi significativi ed importanti delle classi imprenditoriali (si pensi alle posizioni antimafia ed "efficientiste" di Confindustria), l'immigrazione crescente e in alcuni casi di seconda generazione, se pure sembrano ancora "balbettare" più che elaborare un nuovo immaginario, seguono altri miti che non riusciamo a comprendere perché non sono chiari neanche ai loro occhi. Occore però evitare nell'esaminare la Sicilia attuale di appiattirsi nella deprecatio temporum riducendo tutto alla poltiglia del luogo comune del "berlusconismo" e del "grande fratello". La "terra dei miti" sembra essersi spopolata. Ma se non vi sono, fortunatamente, rivoluzioni nel nuovo immaginario, né nell'orizzonte "reale", si colgono attese e inquietudini popolate di immagini nuove e non sempre negative che conviene spiare nella loro natura frammentaria nell'impossibilità attuale di "guadarle" da parte di intellettuali e politici prigionieri di categorie e immagini antiquate. E chissà che riflettendo sul processo di unificazione in Sicilia 150 anni dopo, ripercorrendo immagini, miti e ideali di una rivoluzione immaginata e realizzata, non si riesca a trovare frammenti da proiettare nel futuro. Forse è una semplice formula augurale per la Sicilia nell'Italia unita da 150 anni, ma potrebbe diventare una speranza.

Fonte: La Sicilia

La Sicilia: Francobolli dei mille, una truffa filatelico-storica

QUATTRO FRANCOBOLLI SULL'IMPRESA DEI MILLE
Si tratta solo del primo «assaggio» delle celebrazioni postali per i 150 anni dell'Unità. Numerose altre emissioni sono previste nel 2011, a ricordo di eventi e personaggi



In questo 2010 che si avvia alla fine sono partite piuttosto in sordina le elebrazioni sui francobolli dei 150 anni dell’Unità d’Italia: si sono concretizzate in una "quartina" emessa il 5 maggio per rievocare tutta la spedizione dei Mille, dalla partenza da Quarto fino alla conclusione con "l’incontro di Teano", e in un ritratto di Cavour, il grande "burattinaio dell’unificazione nazionale", su un francobollo posto in circolazione il 6 giugno in coincidenza con la ricorrenza della morte (che avvenne il 6 giugno del 1861).

I primi due francobolli della quartina per l’impresa di Garibaldi raffigurano la partenza dal porticciolo della periferia genovese e l’arrivo a Marsala. Nelle precedenti celebrazioni filateliche la "spedizione dei Mille" era stata ricordata con quadri che riproducevano soltanto l’imbarco nel porticciolo genovese; stavolta, invece, il secondo francobollo mostra - per la prima volta - l’arrivo a Marsala. Il terzo francobollo è dedicato alla battaglia di Calatafimi ed il quarto ricorda l’incontro di Teano con re Vittorio Emanuele II. Il francobollo per Cavour, a sua volta, raffigura il conte "in pompa magna", con l’uniforme di presidente del Consiglio dei ministri di Vittorio Emanuele II (per il Capo del governo italiano la divisa fu mantenuta in uso fino ai tempi di Mussolini che, dopo averla indossata nei primi anni al governo, la abolì) ed il vistoso collare del prestigioso Ordine della Santissima Annunziata, come lo raffigurò il pittore Michele Gordigiani.

Una curiosità: la divisa che figura nel francobollo-ritratto finì in Sicilia. Cavour, infatti, la donò in segno di stima ed amicizia ad uno dei suoi più stretti collaboratori, Filippo Cordova, che era nato ad Aidone, in provincia di Enna, e si era laureato in giurisprudenza all’Università di Catania. Cordova, che fu anche ministro in vari altri governi della seconda metà dell’Ottocento, a sua volta, la donò al Comune di Aidone che ne dispose la conservazione nella propria biblioteca.

Il porto di Marsala

Nel francobollo dello sbarco a Marsala il quadro, di autore ignoto, conservato nel Museo storico di Bergamo - secondo quello che taceva la storiografia del regno italiano dei Savoia - mostra, con Garibaldi approdato sul molo, soltanto il suo piroscafo "Piemonte" attraccato nel porto (quello di Nino Bixio, il "Lombardo", si era arenato vicino all’imboccatura) mentre, nella realtà, l’insenatura portuale di Marsala quella mattina era piuttosto affollata. C’erano difatti le cannoniere inglesi "Argus" e "Intrepid", inviate dal governo di Sua Maestà ritannica per tutelare gli stabilimenti sul molo degli imprenditori inglesi Ingham, Whitaker ed altri, che vi avevano investito ingenti capitali per commercializzare in tutto il mondo il pregiato "vino marsala". E c’erano, soprattutto, anche varie navi della Marina militare borbonica al comando del tenente di vascello Guglielmo Acton, con l’incarico di pattugliare la zona perché alla corte borbonica di Napoli si era avuto sentore delle intenzioni di Garibaldi di invadere la Sicilia: erano la pirocorvetta "Stromboli", il piroscafo armato "Capri", la fregata a vela "Partenope" e il brigantino "Valoroso". Va tenuto conto, tra l’altro, che alla metà dell’Ottocento la Marina militare del Regno delle Due Sicilie era, a giudizio unanime degli studiosi, la più potente di tutta l’Europa.

Il primo scontro con l’esercito borbonico

Il terzo francobollo della quaterna emessa il 5 maggio è dedicato alla battaglia di Calatafimi, raffigurata con la riproduzione di un quadro dipinto da Remigio Legat conservato nel Museo del Risorgimento di Milano.

I "Mille", subito dopo lo sbarco a Marsala che aveva provocato l’aggiunta volontaria di circa 500 "picciotti" siciliani, si erano diretti verso l’interno per sfuggire ad eventuali cannoneggiamenti da parte di navi borboniche sulle zone costiere e al terzo giorno di marcia, domenica 14 maggio, erano giunti a Salemi dove Garibaldi si proclamò I "Dittatore delle Due Sicilie" in nome di re Vittorio Emanuele II ed attribuì alla cittadina il titolo di "capitale d’Italia". (E’ opportuno precisare, ad ogni modo, che il termine "Dittatore" non aveva fino ad allora attinenza con un atteggiamento tirannico, ma indicava soltanto il titolare di un comando assoluto).

Intanto, dopo aver avuto notizia dello sbarco dei garibaldini, il Comando dell’esercito borbonico aveva ordinato immediatamente che quella "miniinvasione" fosse contrastata da un reggimento che, in partenza da Palermo, attraverso Alcamo
giunse sulle colline attorno a Calatafimi attestandosi, lunedì 15 maggio, su una collina in località "Pianto Romano".

Il contingente borbonico era comandato da Francesco Landi, un generale che non era stato mai un "fulmine di guerra", con i suoi 67 anni, e in quei giorni era afflitto perdipiù da una serie di acciacchi fisici per cui dovette compiere il viaggio in carrozza e ci mise quattro giorni per arrivare a Calatafimi. I garibaldini occuparono una piccola altura di fronte alla collina dei borbonici. Le posizioni dei due contingenti erano separate da un vallone.

Lo scontro fu aperto dagli spari di 400 "Cacciatori napoletani", un corpo scelto dell’esercito borbonico, dotato di carabine di precisione; da parte dei garibaldini risposero i 37 "Carabinieri genovesi", così chiamati perché erano giovani che frequentavano il Tiro a segno della città ligure. La sparatoria durò circa 4 ore: al termine di essa c’erano sul terreno una trentina di morti, dei quali 19 garibaldini, e 174 feriti garibaldini e 118 borbonici. Con i loro tiri di precisione, comunque, i "Cacciatori napoletani" avevano guadagnato abbastanza terreno avvicinandosi sempre più pericolosamente alle postazioni dei garibaldini.

In queste condizioni Nino Bixio si avvicinò a Garibaldi e gli chiese se non fosse opportuno ordinare la ritirata. Ma si tramanda che il comandante gli rispose: "Nino, qui si fa l’Italia o si muore!" e ordinò ai suoi uomini l’attacco alla baionetta.

Secondo i manuali di tecnica bellica, in queste condizioni il comandante borbonico avrebbe dovuto attuare la "spallata" decisiva disponendo il contrattacco. E, invece, ordinò ai suoi uomini la ritirata generale, tra lo stupore dei garibaldini. In breve, il contingente borbonico abbandonò quindi in fretta e furia i propri feriti in una chiesa e si ritirò in direzione di Alcamo. Al rientro a Palermo il generale borbonico, a causa di quell’inconcepibile abbandono della battaglia, venne esiliato nell’isola di Ischia: morì dopo pochi mesi.

Ma l’incontro di Teano si svolse a Teano?

Il quarto francobollo del "foglietto" emesso lo scorso 5 maggio è dedicato allo storico "incontro di Teano" tra Garibaldi e Vittorio Emanuele II, con il quale si concluse, il 26 ottobre del 1860, la spedizione dei Mille. I due personaggi vi campeggiano imponenti, entrambi a cavallo, mentre si stringono la mano.

Sullo svolgimento dell’incontro, avvenuto davanti ai numerosi seguiti di entrambi i personaggi e con il quale in pratica Garibaldi consegnò il Regno delle Due Sicilie a Casa Savoia, non ci sono dubbi. Che ci sono invece sulla esatta località in cui si svolse. Garibaldi, dopo aver oltrepassato il Volturno vicino al paese di Formicola, non lontano da Caserta, aveva raggiunto il bivio di Caianello ed aveva preso alloggio lì vicino nella Taverna della Catena. La mattina del 26 ottobre il re, che proveniva da Ancona assieme al suo esercito sceso dal Piemonte, arrivò davanti alla Taverna dove, in uno spiazzo, c’era il generale ad attenderlo. Quindi, dopo che Garibaldi ebbe salutato significativamente a gran voce come "re d’Italia" Vittorio Emanuele II (che nella realtà storica dì quel momento era il re di Sardegna), i due personaggi si avviarono a cavalli affiancati (con Garibaldi alla sinistra del re) verso il paese di Teano e lo raggiunsero dopo circa sei miglia, dopo di che si separarono e il generale tornò alla Taverna.

L’indomani il corrispondente del giornale londinese "The Times", che aveva dato molto rilievo sin dall’inizio a tutto l’andamento della spedizione garibaldina, scrisse: «Vi posso assicurare che i due si intesero. Garibaldi accompagnò il re a Teano, dove ebbe luogo una scena curiosa. La gente cominciò a gridare ’Evviva Garibaldi’. Questi si fermò e disse: ’Gridate Evviva il re d’Italia, Vittorio Emanuele!’ indicando il re. La folla gridò così e dopo nuovamente ’Evviva Garibaldi’. Al che il re disse: ’Avete ragione, è lui che è re qui».

Gli storici risorgimentali, con una certa qual approssimazione geografica, hanno tramandato l’episodio come "l’incontro di Teano". Sta di fatto, però, che la Taverna della Catena non è nel territorio di Teano, ma si trova nell’abitato di Vairano Scalo (ora stazione ferroviaria della linea Napoli-Roma via Cassino) che è una frazione del Comune di Vairano Patenora. Ovvio quindi che i seimila abitanti di Vairano si siano sentiti da 150 anni e si sentano tuttora defraudati della loro porzione di storia patria.Lo zoccolo duro della protesta è basato soprattutto su una testimonianza documentale di sicuro affidamento, il "Diario storico dell’archivio del Ministero della Difesa" dove è scritto chiaramente, nel rapporto relativo alla giornata del 26 ottobre 1860: «A Taverna della Catena il re Vittorio Emanuele incontra il generale Giuseppe Garibaldi». Ma le leggende risorgimentali sono dure da sfatare.

Previsti per il 2011 altri francobolli

Il "foglietto" per la spedizione dei Mille ed il francobollo per Cavour emessi nel 2010 costituiscono comunque solo il primo assaggio delle celebrazioni postali per i 150 anni dell’Unità d’Italia. Numerose altre emissioni sono previste per il primo semestre del 2011 (si parla di 15-20 francobolli, per ricordare eventi e personaggi). Il fatto è che la preparazione delle onoranze filateliche è stata ritardata dal caso Scajola e dalle susseguenti dimissioni del ministro dello Sviluppo economico, che ha competenze in materia. Solo il 4 ottobre è stato nominato il successore Paolo Romani, che ha comunque già confermato l’impegno a celebrare in maniera congrua all’inizio del 2011 con i francobolli i 150 anni dell’Unità.

Fonte: La Sicilia

Tuesday, 28 December 2010

Flaccovio.com: Battiato, la Sicilia profuma d'oriente

La Sicilia profuma d'oriente, un nuovo libro-intervista di Battiato per Flaccovio Editore.

Una lunga conversazione con Franco Battiato, attraverso la quale viene fuori un ritratto inedito ed originale di uno degli artisti più poliedrici e geniali del panorama culturale del nostro paese. Sullo sfondo, le nostre due Sicilie: la sua, affacciata sul mare, con i suoi porti e i suoi commerci, i suoi giardini e i suoi profumi, con i suoi fuochi e le sue lave e la mia, isola nell'isola, affogata in un mare di ristoppie e di silenzi, in una arsura senza acqua e che odora ancora dell'odore di zolfo e del sudore doloroso dei suoi zolfatari. Il tutto in una alternanza di ricordi e nostalgie per il tempo che fu, per gli affetti perduti, per tutto ciò che poteva essere e non è stato. Un'analisi lucida e a tratti impietosa di una terra che ancora oggi si dibatte tra un'ansia di Europa e un desiderio d'Africa.

Fonte: Flaccovio.com

Monday, 27 December 2010

Corriere.it: De Magistris, "Sconcertante 3 IDV tengono in vita governo"

L'ex magistrato: «pesa come un macigno»
Idv, De Magistris apre la questione morale
«Non ce l'ho con Di Pietro, ma il partito è alla deriva». L'ex pm: vuole il mio posto

ROMA - «Il mio non è un attacco personale a Di Pietro e neanche una corsa alla leadership del partito: tuttavia la questione morale all'interno dell'Idv rimane ed è pesante come un macigno. Anche perché, è amaro dirlo, sono tre dei nostri deputati, eletti con una lista più antiberlusconiana che non si può, a tenere in vita il governo... È davvero sconcertante doverlo ammettere».

La sera di Santo Stefano, l'eurodeputato dipietrista Luigi De Magistris è andato a teatro per cercare di distrarsi. E forse anche per provare a dimenticare i tradimenti dei suoi ex compagni di partito - Amedeo Porfidia, Domenico Scilipoti e Antonio Razzi - e, a questo punto, anche per «digerire» la dura replica del leader del partito Antonio Di Pietro. Infatti l'ex pm di Mani pulite, sul suo blog personale, ha strapazzato chi, come l'ex magistrato De Magistris, continua a sollevare la questione morale anche all'interno dell'Idv.

«A volte chi critica è interessato a prendere lui stesso il posto di chi viene criticato», ha detto Di Pietro su chi dissente nel partito. Ma De Magistris - che per rispondere deve attendere l'intervallo tra il primo e il secondo atto dello spettacolo teatrale - per ora non cerca lo scontro frontale: «Non credo che l'amico Antonio si riferisca a me; lui è saldo nella sua posizione e non deve temere assalti alla leadership del partito. Però la questione morale c'è e riguarda la credibilità della classe dirigente dell'Idv».

Di Pietro ha parlato dopo la pubblicazione su «Micromega», diretta Paolo Flores D'Arcais, di un sondaggio sulla questione morale all'interno dell'Idv. Un'iniziativa che segue una durissima lettera firmata, oltre che da De Magistris, anche da Sonia Alfano e Giulio Cavalli, in cui si mette in discussione la gestione personalistica del partito sottolineando pure la «spinosa e scottante questione morale, che va affrontata con urgenza prima che la stessa travolga il partito». Di Pietro, dunque, non ha gradito e già nel giorno di Natale è passato al contrattacco: «Sulla questione morale non v'è dubbio che un partito che nasce dal nulla, un fiore spontaneo, ogni tanto si trova a vedere nel proprio campo qualche erbaccia cattiva. Il nostro compito, quindi, è quello di rimuovere le erbacce e far ricrescere l'erba buona». Per farlo, insiste Di Pietro, «ci vuole tempo, perseveranza, costanza, umiltà, determinazione, partecipazione: la critica soltanto, senza apporto costruttivo, è critica fine a se stessa. Però noi la critica la dobbiamo ascoltare».

Eppure De Magistris - che deve la sua notorietà anche alle inchieste «Poseidone» e «Why not», condotte a Catanzaro, e al successivo processo disciplinare davanti al Csm che lo spogliò delle funzioni requirenti, determinandone il trasferimento coatto al tribunale di Napoli - ricorda di avere accettato la proposta di Di Pietro di candidarsi alle Europee del 2009 proprio per portare un vento di moralizzazione nella classe politica, compresa quella del centrosinistra.

Così De Magistris - dopo lo spettacolo offerto dall'onorevole Razzi, che a settembre al congresso di Vasto giurava di voler rimanere fedele a Di Pietro, e di recente da Porfidia e da Scilipoti - ora dice chiaro e tondo di non essere soddisfatto di come il vertice del partito seleziona (o magari non sceglie) il personale politico: «Senza rese di conti e senza pubbliche faide - scrivono i dissenzienti dell'Idv - crediamo che mai come adesso il presidente Di Pietro debba reagire duramente e con fermezza alla deriva verso cui questo partito sta andando per colpa di alcuni. Le ultime vergogne, come definire il caso Razzi-Scilipoti, sono solo la punta di un iceberg...».

Di Pietro, dunque, non ha lasciato passare Natale per correre a tranquillizzare gli elettori dell'Idv con un video intitolato «Carta canta»: «Voglio rassicurare tutti sul fatto che c'è un impegno preciso del partito per una militanza trasparente, del quale parleremo in un esecutivo nazionale a gennaio... Voglio tranquillizzare tutti sul fatto che, piano piano, l'acqua sta diventando pulita e più l'acqua diventa limpida, più dobbiamo essere orgogliosi dell'Idv». Poi, però, con quell'accusa diretta a De Magistris («A volte chi critica è interessato a prendere lui stesso il posto di chi viene criticato») Di Pietro ha implicitamente ammesso che nell'Idv una questione leadership potrebbe esplodere. Da un momento all'altro.

Dino Martirano
27 dicembre 2010

Fonte: Corriere.it

Movisol.org: Perchè il governo Berlusconi non poteva ancora cadere

Fallisce in Italia il "golpe dei banchieri"

22 dicembre 2010 (MoviSol) - Se il 14 dicembre governo italiano avesse perso il voto di sfiducia, con tutta probabilità l'Italia non avrebbe oggi un Presidente del Consiglio migliore dell'impresentabile Berlusconi, ma si ritroverebbe con un "governo dei banchieri" presieduto da Mario Draghi – il capo del Financial Stability Board dalla querela facile contro coloro che lo chiamano "Mr. Britannia". Infatti, l'opposizione si è presentata al voto di sfiducia senza una strategia politica o economica unitaria, e senza alternativa visibile a Berlusconi.

L'alternativa era nascosta. Se la sfiducia fosse passata, la crisi di governo avrebbe scatenato le pressioni speculative, compresa una possibile retrocessione nel rating, e si sarebbe determinata la situazione di emergenza che avrebbe dettato l'arrivo di Draghi sul cavallo bianco a Palazzo Chigi, per somministrare una cura da "lacrime e sangue" come tagli alle pensioni, privatizzazioni e blocco dei salari, come richiesto dai bankers per puntellare il sistema dell'euro.

Draghi aveva esposto il suo programma in un'intervista nella sede del Financial Times, a Londra, il 10 dicembre, suggerendo una terapia da applicare a tutti i paesi dell'Eurozona, analoga al "piano di rigida austerità fiscale" che egli aveva contribuito a somministrare all'Italia con i governi tecnocratici all'inizio degli anni novanta.

Ora però, Draghi e la "Britannia faction" devono attendere un altro giro.

Nonostante avessero la maggioranza sulla carta, Fini e l'opposizione hanno perso per una manciata di voti, prendendosela con chi si sarebbe fatto comprare da Berlusconi. Il mercato delle vacche in occasione di voti di decisiva importanza è vecchio quanto il Parlamento, e non si può gridare allo scandalo. E non si può dar torto all'on. Catia Polidori, che ha motivato il suo dissenso dal gruppo finiano di cui faceva parte, con la necessità di garantire stabilità politica all'Italia in un momento di turbolenza finanziaria globale, soprattutto nel contesto di cui sopra.

È vero comunque che pur avendo vinto la fiducia, il governo Berlusconi non ha conquistato la stabilità. Mentre la politica spinge verso elezioni anticipate, una strada alternativa e migliore per il paese sarebbe di costruire una larga maggioranza basata su una "exit strategy" dal sistema dell'euro che sta "stringendo il cappio attorno al collo" del paese, nelle parole del prof. Savona.

Fonte: Movisol.org

Saturday, 18 December 2010

La Sicilia: I Vescovi (del nord) contro i cattolici (del sud)

Di Pietro: sposiamoci. Primi no dal Pd; I vescovi contro il «terzo polo pasticcio»
Fini: Berlusconi è un grande seduttore ma quando esce qualcuno tanti entrano
Venerdì 17 Dicembre 2010


Roma. La fiducia strappata dal governo alla Camera ha messo in movimento lo scacchiere parlamentare. Non solo ha provocato un'accelerazione sul nascente terzo polo ma potrebbe avere conseguenze anche nel centrosinistra, dove Antonio Di Pietro propone un "matrimonio" tra Pd, Idv e Sel.

Il fenomeno di scomposizione e ricomposizione politica è solo all'inizio e minaccia di scuotere le fondamenta del bipolarismo. Il Pdl e la Lega tengono duro, promettono di infoltire le truppe con ulteriori transfughi e sparano a zero sul progetto neo-centrista battezzato da Fini, Casini e Rutelli. "A livello strategico è un'alleanza che non ha il fiato per andare lontano", assicura il Guardasigilli Alfano, smontando le aspettative del Polo della nazione, convinto di avere "un grande spazio per l'affermazione di un'alternativa a Pdl e al Pd", come sostiene il segretario dell'Udc, Cesa.

Ma a prendere con le molle l'esperimento, oltre al direttore scientifico della fondazione finiana Farefuturo, Campi ("il terzo polo non è mai nato: non c'è una leadership, non c'è un programma") è anche "Avvenire", il quotidiano dei vescovi, secondo il quale "non c'è bisogno di un terzo polo pasticcio ma di un di più". Analisi poco incoraggianti, che confortano invece chi ha in mente la formazione di un'altra moderata: quella a cui Moffa, ormai ex-Fli, vuole dare vita - sembra col benestare di Berlusconi - per aggregare i delusi da Fini e non solo. "Molti parlamentari la pensano come me", spiega, ipotizzando per esempio un cartello 'pro life' che potrebbe attirare anche i cattolici del Pd. "Non esiste", taglia corto l'ex-popolare Fioroni, intenzionato a combattere la sua battaglia sui tempi etici all'interno del Pd. "Berlusconi è un grande seduttore, la carne è debole - dice Fini - ma ogni volta che da Fli esce qualcuno entrano tanti che vogliono respirare un po' d'aria pulita".

Ad agitare ulteriormente le acque del Pd ci ha pensato Di Pietro, chiedendo al partito di rompere gli indugi sulle alleanze. "Aspettare l'Udc è rincorrere la luna", dice, in riferimento alla nascita del Polo della nazione. Dunque, "troviamoci anche noi - propone rivolgendosi anche a Sel - il matrimonio è pronto, sposiamoci". Un'iniziativa che, in coincidenza con la nuova richiesta di ingresso nel Pd avanzata da Latorre a Vendola, provoca l'irrigidimento degli ex-Ppi. "La nostra bussola non potrà mai essere il matrimonio con Di Pietro", avverte Gentiloni, in linea con Letta che esclude anche "il fidanzamento" e spedisce al mittente la "provocazione di Di Pietro". Non si sbilancia, invece, il segretario del Pd, Bersani, che rinvia alla Direzione dei prossimi giorni "una proposta di cambiamento per andare oltre questa fase convulsa".

Solo da Sel arrivano segnali di interesse per la costituzione di un polo di sinistra. Non direttamente da Vendola ma attraverso Migliore, membro del coordinamento nazionale, che dichiara: "La proposta di Di Pietro è il minimo sindacale ma bisogna partire subito e parlare non solo della coalizione ma anche, e pubblicamente, delle primarie". Un tasto dolente, questo, per il Pd che non ha ancora sciolto le riserve sull'eventuale contesa della leadership con Vendola.

Ga. Be.

Fonte: La Sicilia

BlogSicilia.it: Giampilieri omaggia Bertolaso, "Sei un pezzo di fango"

Il premio gli è stato assegnato da un'associazione
A Guido Bertolaso, “Pezzo di fango 2010″

18 dicembre 2010 - MESSINA – Singolare iniziativa dell’associazione messinese “Museo del fango”. L’associazione, che nei mesi scorsi ha organizzato mostre e dibattiti per non dimenticare l’alluvione di Messina del 2009, dopo avere analizzato un campione di cittadini ha assegnato due premi.

Il primo premio “Pezzo di fango 2010″ all’ex capo della Protezione civile, Guido Bertolaso, il meno votato. La motivazione che sta alla base del premio è quella di “essersi speso meno nella salvaguardia della sicurezza del territorio”.

Il secondo premio “Zanclea d’oro” lo ha assegnato al Genio civile di Messina. A riceverlo è stato il piu’ votato dai cittadini tra una rosa di 20 nomi di rappresentanti istituzionali, perchè si è adoperato di piu’ nell’aiuto agli alluvionati.

Fonte: BlogSicilia.it

Monday, 13 December 2010

CataniaPolitica.it: Battiato, i suoi maestri, i suoi discepoli

Su Battiato ed altre eresie
15 novembre 2010

di Riccardo Raimondo- E il giorno della fine non ti servirà l’inglese (F.Battiato, Il Re del Mondo), ma neanche l’arabo, e neanche le canzoni di Battiato.

Che il tono di questo articolo-congettura non turbi gli animi più sensibili: l’ironia farà da spalla al senso pratico della critica e la critica cercherà di essere il più legittima possibile, cercando di non cadere nell’ironia offensiva o, peggio ancora nell’accusa banale. Spero che vorrete concedermi anche qualche piccola parodia mondana.

Procuratevi subito le opere di G.I.Gurdjieff, imparate l’arabo, leggete qualche mistico sufi, imparate a fare il sesso senza sentimenti e a danzare come gli zingari nel deserto, spolverate il tutto con un po’ di elettronica, lasciate cuocere in TV per qualche anno – ma senza troppe apparizioni – ed ecco pronta sui vostri mp3 la ricetta musicale del mistico più radical chic che pontifica nei salotti italiani: Franco Battiato. Per i più golosi, suggeriamo prima e dopo i pasti lo shivaismo tantrico di stile dionisiaco.

Scherzi a parte, in questa sede vorrei scavare un po’ di più nella poetica di Battiato e per farlo non posso che scrutare le idee che si aggirano tra il salotto più frequentato dal cantante catanese. Il salotto di cui parlo è quello che ruota intorno a Roberto Calasso (direttore della nota casa editrice Adelphi) e Jaeggy Fleur, sua moglie, che per Battiato ha scritto molti testi. Non posso approfondire in questa sede le più complesse tematiche teologiche, ma dirò – per semplificare – che al centro delle idee di questi intellettuali neognostici della gauche c’è il così detto pensiero negativo. Pensiero che ad esempio aveva tanto ha affascinato Walter Benjamin. “Un pensiero della Krisis”, per dirla con Cacciari (anche lui vicinissimo all’Adelphi): prospettive che il dionisiaco Calasso ha totalmente fatto proprie.

Per capire meglio alcuni topoi cardinali di questo pensiero, ci basterà trarre qualche spunto da una delle radici principali che lo nutre. Ho pensato quindi di parlare dell’Adwaita Vedanta.

Per dirla con poche parole, è una delle principali scuole di pensiero della religioni induista, fondata sulla parte finale della letteratura dei Veda, un’antichissima raccolta di testi sacri ai popoli indoiranici che invasero l’India settentrionale nel XX a.C. .

Scrive M.Blondet nel suo famoso libro Gli “Adelphi” della dissoluzione, parlando dell’interpretazione personale che Calasso fa dell’opera di Nietzsche:

L’Adwaita Vedanta affronta il problema dell’imcompletezza dell’uomo […] : a ogni istante l’uomo trova che il suo «io» ha di fronte un «non-io», il mondo che egli non domina, ma anzi subisce. […] Il Vedanta insegna che l’infinito «non-io», il mondo esteriore all’uomo, è Maya, illusione, o – nella versione tantrica del pensiero indù – è Shakti, la manifestazione della «potenza magica» (Maya significa appunto magia) della Dea, di Kali, della Materia prima Universalis. Ma il Vedanta insegna anche la legittima ascesi per riassorbire l’illusione del mondo non già nell’«io» – ché anche l’io è manifestazione della stessa illusione –, ma nel Sé impersonale che è la fonte di tutto, della manifestazione universale e della sua dissoluzione. Identifica l’io con il Sé, l’atman – l’anima individuale – con il Brahman divino, che significa esercitarsi ogni ora a «morire a sé stessi»: a vedere il proprio io come un grumo di passioni, paure e desideri, sete di vivere e di esistere, che va abbandonato.

Il Nietzsche di Calasso intraprende la via inversa, luciferina: «Egli mantiene tutti i termini dell’affrontamento» fra io e non-io […], ma invece del mite svanire dell’io, del «morire a sé stessi», […] cerca di trasportare l’io, con uno sforzo titanico della volontà – mentre l’io stesso di sfalda […] – , nell’abisso del tutto indifferenziato.

Già Guenon aveva messo in guardia contro questa via, quando ne Il Regno della quantità e i segni dei tempi parlava dei contro-iniziati, quelli che nell’esoterismo islamico si chiamano awliya asc-Sciaytan, «i santi di Satana». Una via simile non può che concludersi con una «disintegrazione totale dell’essere cosciente, e con la dissoluzione senza ritorno […] sempre più lontano dal centro principale. Fino a precipitare», la via del male.

Qual è l’unico essere nella storia del mondo che tutte le religioni hanno descritto come capace di superare «le correnti gravitazionali, lo spazio e la luce per non invecchiare» (Battiato, La cura), che conosce «le leggi del mondo» e ne fa dono agli uomini? Prometeo, il portatore di luce, Lucifero, Shakti il Distruttore, Dioniso.

Seguendo questa indagine teologica possiamo illuminarci sulla natura dello shivaismo tantrico di stile dionisiaco e, per dirla sulla falsa riga della canzone Sentimiento Nuevo di Battiato, possiamo scoprire che non è «bellissimo perdersi in questo incantesimo». Anzi è proprio questa la via che i mistici di tutte le fedi hanno definito come la via del male.

A collante di questa congettura potremmo dire moltissime cose (ma invito i lettori a una ricerca personale più approfondita). Però vorrei sottolineare l’aspetto del pervertimento del Sacro, parlando appunto di Shiva il Distruttore che insieme a Brahma (il Creatore) e Vishnu (il Conservatore) forma la santissima Trinità indù: la Trimūrti. Tutti i momenti della Ruota della Trimūrti sono necessari: preferire un termine a scapito dell’altro significa sovvertire l’ordine della natura, scardinare le leggi dell’universo, disperdere il centro.

La via del male porta infatti «sempre più lontano dal centro principale». E appunto un altro dei topoi cari a questi neognostici è il non-centro.

Ricordiamo ad esempio la canzone di Battiato che parla dell’impossibile ricerca di un centro di gravità permanente. E come dirà in interviste successive Battiato: «per fortuna non l’ho trovato un centro». Questo pensiero negativo, quindi, non ha propriamente nulla a che fare con il Sacro, ma, anzi, è tutto l’opposto. È un pervertimento del Sacro.

Blondet ritrova questo pervertimento anche in una delle più importanti fascinazioni del cantante catanese. Il giornalista ricorda infatti che i «Dunmeh, seguaci di Sabbatai Zevi, dopo la pseudo-conversione all’Islam si sono rifugiati nelle conventicole segrete dei sufi turchi, i Dervisci Danzanti. Sarebbero costoro a conservare i segreti culti della Grande Madre e di Dioniso sotto mentite spoglie». Sul satanismo di Sabbatai Zevi invito i lettori a una ricerca personale, qui infatti non posso dilungarmi.

Ciò che mi preme dire però è che questa interpretazione dionisiaca del Sacro non può che essere parziale, incompleta, perché invece di trascendere la dualità ne esclude uno dei termini: l’apollineo. Le implicazioni politiche à gauche di questa interpretazione non ci interessano, quanto più invece ci interessa il disordine e il dolore che nelle nostre vite può derivare dall’accogliere un simile insegnamento.Già il grande illuminista Umberto Eco si è divertito a prendersi gioco di questi neognostici per dire – in sostanza – che dietro il mistero esoterico non c’è nulla e che anzi non può portare che a violenze, dolori, suicidi e, nella peggiore delle ipotesi, sacrifici umani.

Già nella querelle Eco-Calasso, l’adelphiano di ferro si era posto in una posizione molto chiara, scrivendo in Cadmo e Armonia che «Cadmo ha al centro una zona teoretica sul rapporto fra sacrificio e ierogamia […] due facce della stessa medaglia». E ancora ne La rovina di Kash, Calasso descrive il sacrificio umano azteco come qualcosa che «la vita, se vuole perpetuarsi, esige che si colga [...]», o come «l’esuberanza della vita, che soltanto in quel sangue [del sacrificio] si promette perenne». Perché secondo Calasso oggi «dissolto il sacrificio tutto il mondo torna ad essere, senza saperlo, un’immensa officina sacrificale».

Come nel Marchese de Sade, la Natura che ama Calasso è quella divoratrice e feroce, distruttiva.

Un altro autore caro a Calasso, Georges Battaille dirà su de Sade in La letteratura e il male: «l’essenza delle sue opere [di De Sade] è la distruzione: non solamente la distruzione degli oggetti, delle vittime messe in scena [...] ma anche dell’autore e della sua stessa opera». Una teologia della distruzione quindi, della dissoluzione.

Sul rischio di questa regressione, sul pericolo necrofilo d’identificare piacere e morte, aveva già messo in guardia R.Guenon.

È il «viaggio con la mescalina che finisce male nel ritorno» di cui parla Battiato in Shock in my town. Calasso questo lo sa bene e, ammettendo che «il sacrificio è causa della rovina e che anche l’assenza del sacrificio è causa della rovina», deduce che «la società è la rovina», e quindi non ci rimane che shockare la Città, il “centro” della società.

Piacere e sacrificio, Amore e Morte sono altri topoi che ritroviamo manipolati nella poetica di Battiato. Ancora una volta non c’è una vera idea del Sacro, ma un sofferto districarsi «tra astinenza e pentimenti, tra sesso e castità». Non c’è una vera idea di trascendenza degli opposti, ma le dicotomie vengono mantenute e vengono risolte in una pratica negativa: «sono sempre stato un Manicheo» – ammette il cantante. Le dicotomie non vengono trascese ma dissolte in un «buio dove forze oscure da sempre si scatenano» (Battiato, Tra sesso e castità): non siamo noi a vivere l’Eros, ma siamo vissuti da Kali, schiavi della libido.

La castità identificata come il male, la disinibizione e il sesso come la liberazione.

L’idea del Sacro e della trascendenza scompare, resta solo un grande fraintendimento: un mal interpretato «Ama secondo il Tao», una «Fornicazione» dionisiaca (dall’album L’ombrello e la macchina da cucire).

Sappiamo invece che l’Eros non è solo un “luogo dove scatenare forze oscure”, ma in molte pratiche e religioni è anche un mezzo per unire le anime al di là dei corpi e provare l’esperienza del Divino: niente «forze oscure» quindi, ma la vera Armonia della natura che si rivela.

Questi messaggi fanno molto leva sugli animi delle persone, perché colpiscono i centri di problematiche molto profonde e attivano meccaniche arcane e spesso irrisolte. L’ignoranza totale che il pubblico occidentale ha su questi argomenti permette a questi “Sacerdoti del Nulla” di mistificare a loro piacimento ogni argomento.

D’altronde il Buddha ci aveva già messo in guardia, dicendo che L’Ego può reinterpretare tutto a suo uso e consumo, tutto, persino l’idea del Sacro.

Non c’è il Sacro nei luoghi di cui ho parlato in questo articolo, e non c’è neanche lo gnosticismo, perché semplicemente non c’è la ricerca della Verità, ma solo l’inno a un solo aspetto della Verità: quello negativo, a sfavore dei quello positivo. Non c’è neanche un “emanciparsi dalla religione” (come alcuni vorrebbero vedere) nelle idee di questi pseudognostici ma, anzi, c’è la teorizzazione di una contro-religione. Questo genere di messaggi non servono a nulla e portano solo al suicidio, al dolore o al sacrificio umano (come ricordava U.Eco) o, al limite, possono servire ad alimentare una sorta di provincialotto e grossolano anticlericalismo.

Ciò che tengo a dire in questo articolo è che chi lo scrive non ha abbracciato alcuna fede, perché si riconosce in tutte le fedi e in tutte ritrova il vero spirito che dovrebbe guidare un possibile gnosticismo moderno: la ricerca della Verità, del Bene e del Male. Sulla via del Sacro, da sempre, Apollo e Dioniso danzano in una sola danza: la via della trascendenza.

Se uno costruisce e l’altro distrugge, che cosa guadagnano se non la fatica? Se uno prega e l’altro maledice chi dei due è ascoltato dal Signore? (Siracide 34, 23)

Fonte: CataniaPolitica.it

Sunday, 12 December 2010

Avvenire.it: Nati con il codice a barre

LE MICRO-ETICHETTE DI SILICIO PER IDENTIFICARE I «PRODOTTI» IN VITRO
Codici a barre negli embrioni E l’uomo si trasforma in merce
ASSUNTINA M ORRESI
Domenica, 12 Dicembre 2010


Codici a barre per identificare embrioni in provetta? Nei topi, in via sperimentale, si è già fatto. Piccolissime etichette in silicio, dell’ordine di grandezza della millesima parte di un millimetro, sono state inserite con una microiniezione in embrioni di topo di appena un giorno: non sono tossiche, resistono al congelamento e allo scongelamento, e sembrano non interferire con la crescita dell’organismo. È la loro forma a costituire il codice identificativo, che può essere riconosciuto con un microscopio particolare. Saranno rilasciate spontaneamente dagli embrioni stessi, una volta raggiunto un certo grado di sviluppo: questa parte della ricerca tuttavia dev’essere ancora perfezionata.

Secondo gli scienziati dell’Università Au­tonoma di Barcellona e dell’Istituto di Microelettronica del Csic (il Cnr spagno­­lo), che hanno messo a punto la tecnica pubblicando i risultati del loro lavoro sulla rivista scientifica internazionale Human reproduction, si tratta di un mez­zo formidabile per tracciare embrioni in sicurezza ed evitare drammatici scambi di provette non così rari nei laboratori della fecondazione in vitro.

Può sembrare la trama per un brutto film, ma è tutto vero. In rete sono consul­tabili le foto degli embrioni di topo con­tenenti i micro-dispositivi al silicio, il brevetto è già depositato, e il Diparti­mento della Salute del governo catalano ha concesso l’autorizzazione a testare il sistema con ovociti ed embrioni umani messi a disposizione da cliniche spagno­le.

È l’estremo passo: muniti del sofisticatis­simo codice identificativo – ciascuno ha il proprio – gli embrioni umani entrano a pieno titolo nel grande mercato globale, come ogni merce che si rispetti. Una vol­ta applicato il codice a barre – si sa – ogni prodotto finito è pronto per la vendita: il cliente lo sceglie, lo mette nel carrello, va alla cassa, paga e se lo porta a casa. An­che dal punto di vista simbolico, niente come un codice a barre è così efficace nel dare l’idea di commercializzazione, ge­stione di magazzino, acquisto e vendita: un’etichetta fredda e astrusa, decifrabile solo da speciali lettori ottici, che indica la natura dell’oggetto e il suo valore di mer­cato. Le barre in bianco e nero si evolvo­no e diventano microscopiche targhette al silicio, in migliaia di possibili forme di­verse: etichette miniaturizzate per distin­guere e identificare, inserite all’interno degli embrioni nel loro percorso di 'pro­duzione' in laboratorio. Una classifica­zione ideale per prodotti commerciali in serie, realizzati su larga scala.

Si potrà dire che già da ora nei laboratori gameti ed embrioni vengono in qualche modo codificati per poterli individuare correttamente. E infatti sarebbe intellet­tualmente onesto riconoscere da parte di tutti, a prescindere dai convincimenti personali di ciascuno, che è proprio l’av­vento della fecondazione in vitro – cioè la disponibilità di embrioni umani fabbri­cati sotto la lente del microscopio – ad a­ver aperto le porte alla 'cosificazione' dell’umano, a un nuovo modo di 'utiliz­zarlo' (nel senso letterale e materiale del termine).

In altre parole, il passaggio dalla numera­zione della provetta al codice miniaturiz­zato in silicio inserito nell’embrione ren­de solo più evidente e inequivocabile ciò che era chiaro fin dall’inizio: la piena di­sponibilità della vita umana fin dal con­cepimento avvenuto al di fuori del corpo della donna e della sua unione con l’uo­mo modifica l’idea stessa dell’umano, lo rende pienamente 'oggetto', gettando le basi per un suo nuovo mercato.

La numerazione di esseri umani è sem­pre stata sinonimo inquietante di man­canza di libertà e dignità: basti pensare alle carceri, ai campi di concentramento, o anche semplicemente alle polemiche nate intorno alle impronte digitali per al­cuni gruppi sociali, benché giustificate dalla necessità di sicurezza e tutela. Ep­pure per gli embrioni col codice a barre è difficile immaginare la stessa indignazio­ne, le medesime perplessità, gli identici dubbi di fronte a una soluzione tecnica­mente avveniristica, ma antropologica­mente raggelante.

Fonte: Avvenire.it

Thursday, 2 December 2010

LaSiciliaWeb.it: UE finanzia uno studio per aeroporto CT

[Un piccolo contentino per i Siciliani, un misero finanziamento per il progettino di fattibilità dell'interramento dei binari ferroviari. Sembra quasi una presa per il sedere...]

Fondi Ue per l'aeroporto di Catania
Approvati due progetti per Fontanarossa e Malpensa: lo scalo etneo verrà collegato con la ferrovia, prevista anche la costruzione di una stazione
02/12/2010


CATANIA - La direzione generale per i Trasporti della Commissione europea ha approvato i progetti che riguardano lo sviluppo dell'intermodalità di due aeroporti nazionali: lo scalo di Milano Malpensa e quello di Catania. Lo rende noto l'Enac sottolineando che entrambi saranno finanziati al 50% con fondi Ue.

Il primo progetto è relativo all'elaborazione di uno studio di fattibilità per la realizzazione del collegamento dell'aeroporto di Catania Fontanarossa con la ferrovia, mediante l'interramento del tracciato ferroviario e la costruzione di una stazione ferroviaria dedicata. Il progetto è stato finanziato per un importo di un milione di euro. L'interramento, peraltro, permetterà in futuro il prolungamento della pista di volo dello scalo.

Il secondo progetto riguarda la realizzazione del collegamento ferroviario tra il Terminal 1 e il Terminal 2 dell'Aeroporto di Milano Malpensa, ed è stato finanziato per un importo di 1.296.490 euro. Il presidente dell'Enac, Vito Riggio, esprime "apprezzamento per l'approvazione di entrambi i progetti. La Commissione europea ha dato concretezza a un passaggio importante per lo sviluppo di questi aeroporti che diventeranno più fruibili per i passeggeri".

"Per quanto riguarda l'aeroporto di Catania - sottolinea Riggio - è particolarmente importante che le istituzioni e il territorio vengano coinvolti per trovare le risorse in grado di finanziare il restante 50% delle opere e rendere così fattibile un progetto che non riguarda solo i collegamenti da e per Catania, ma che permetterebbe in futuro l'allungamento della pista di volo con il conseguente ampliamento delle possibilità di sviluppo dello scalo".

Fonte: LaSiciliaWeb.it

EconomiaSicilia.com: Armao, Regione cede quote Unicredit

Unicredit, se la Regione lascia la Fondazione Bds raddoppia
3 dicembre 2010 Andrea Naselli

“La Regione faccia la sua strada che noi faremo la nostra”. Ribatte così il presidente della Fondazione Banco di Sicilia, Gianni Puglisi alle dichiarazioni espresse dall’assessore regionale all’Economia Gaetano Armao circa la volontà della Regione di cedere la partecipazione in Unicredit. Un percorso, quello di Armao, che si innesta in un quadro più ampio di riassetto delle partecipazioni creditizie regionali dopo l’accordo realizzato con Unicredit per l’acquisizione della maggioranza dell’Irfis. “Una eventuale scelta della Regione di uscire dalla compagine Unicredit”, sottolinea Puglisi, “non sarebbe per noi indifferente visto che le due partecipazioni assieme, la nostra e quella regionale, ci consentono di essere presenti nella governance di Unicredit”. Infatti, lo 0,6% circa della Regione, unitamente ad una analoga quota della Fondazione hanno fatto si che nel cda della banca sieda la siciliana Marianna Li Calzi. “Visti gli equilibri all’interno della governance sarebbe stato opportuno”, afferma Puglisi, “che prima di manifestare intenzioni di questo tipo la Regione ci avesse consultato, come del resto aveva annunciato il presidente Lombardo. Lo stiamo ancora aspettando. Ma se alle dichiarazioni del singolo assessore seguirà anche un atto concreto dell’intero governo Lombardo, noi abbiamo il dovere di tutelare gil interessi della Fondazione Bds e di prendere tutte le misure che riterremo necessarie”. Puglisi non lo dice apertamente ma lascia intendere che tra queste vi possa essere anche un interesse a rilevare le quote eventualmente poste in vendita dalla Regione. La partita è ancora tutta da giocare e la posta in palio è grossa. Da un lato la ventilata e più volte annunciata risistemazione delle partecipazioni creditizie regionali che ora con il passaggio dell’Irfis alla Regione potrebbe concretizzarsi e dall’altro l’esigenza di garantire una presenza nella governance di Unicredit. Una presenza finora giocata in tandem Fondazione Bds-Regione che per Gianni Puglisi costituisce un valore da difendere. Sarà questo il nodo da sciogliere nelle prossime settimane e per farlo occorrerà un intervento diretto del presidente della Regione Raffaele Lombardo.

Fonte: EconomiaSicilia.com

Thursday, 25 November 2010

BlogSicilia.it: La Cucinotta non riconosce lo stato italiano

A Radio2 durante "Un giorno da pecora"

La Cucinotta dichiara il suo amore a Lombardo: “Il mio unico presidente”
di BlogSicilia

24 novembre 2010 - “Dichiarazione d’amore” di Maria Grazia Cucinotta al presidente della Regione Siciliana, Raffaele Lombardo, durante la trasmissione di Radio2 “Un giorno da pecora”.

Scherzando in collegamento telefonico da Barcellona con i conduttori Claudio Sabelli Fioretti e Giorgio Lauro che le chiedono se ha votato e voterebbe per il Governatore – presente in studio -, l’attrice messinese risponde: “È il mio unico presidente, sono siciliana…”

Ma Maria Grazia Cucinotta bacerebbe mai un politico? “Solo se mi puntassero una pistola alla testa“, risponde seria.

Fonte: BlogSicilia.it

Wednesday, 24 November 2010

Corriere.it: Per la Germania alcuni paesi potrebbero uscire dall'Euro

La Germania non esclude la possibilità per i Paesi a rischio Mossa di Berlino: dall’euro si può uscire Merkel: la situazione è eccezionalmente seria
La Germania non esclude la possibilità per i Paesi a rischio
Mossa di Berlino: dall'euro si può uscire
Merkel: la situazione è eccezionalmente seria


BERLINO - Se qualcuno aveva dubbi sulla gravità delle crisi dell'Eurozona, ecco Angela Merkel. «Siamo in una situazione straordinariamente seria per quel che riguarda lo stato dell'euro», ha detto ieri la cancelliera di fronte all'assemblea annuale degli imprenditori tedeschi. Nel parlamento di Berlino, intanto, parlava il ministro delle Finanze Wolfgang Schäuble: di fronte alla crisi finanziaria dell'Irlanda, diceva, «vorrei rendere chiaro che è in gioco la nostra moneta comune. Se non riusciamo insieme a difenderla stabilmente le conseguenze economiche e sociali sarebbero incalcolabili». I mercati, già sotto pressione perché il pacchetto di aiuti europei a Dublino non li ha affatto calmati, si sono ulteriormente innervositi.

A Berlino la preoccupazione per quello che sta succedendo cresce di giorno in giorno. Il fatto che le decine di miliardi promesse all'Irlanda non abbiano tranquillizzato i mercati e anzi abbiano spostato le attenzioni sulle difficoltà del Portogallo fa temere che sia iniziato un effetto domino difficile da controllare.

La convinzione che si sta facendo strada è che i pacchetti di salvataggio - in primavera la Grecia, ora l'Irlanda - non possano bastare. Molti commentatori diranno che il governo di Berlino sbaglia nel chiedere che i governi nazionali siano messi di fronte alle loro responsabilità, non più coperti dall'ombrello di un euro indifferenziato, attraverso la possibilità che chi non ha i conti in ordine possa dover ristrutturare i suoi debiti, cioè ammettere un fallimento. E diranno che Frau Merkel non si rende conto di quanto pesino le sue parole sui mercati.

In realtà, la cancelliera sa quello che dice. Lo stesso vale per il ministro Schäuble, uno dei politici più esperti d'Europa. La realtà è che il governo tedesco non crede che la crisi che sta attraversando l'Eurozona possa essere controllata con interventi contingenti. E non esclude che alla fine di questa fase drammatica qualche Paese possa essere costretto ad abbandonare l'euro, per quanto complicato potrebbe essere: la signora Merkel aveva accennato a questa possibilità in primavera, durante la crisi greca, e a Berlino l'ipotesi continua a non essere data per esclusa. Il Paese che non è in grado di avere conti pubblici stabili - è il ragionamento - mina la solidità dell'euro. Infatti, sempre ieri, Frau Merkel ha ribadito che «se l'euro dev'essere una valuta stabile, il Patto di stabilità e crescita va mantenuto», anche con la clausola del possibile default di un Paese con i conti fuori controllo.

Berlino vuole che i mercati si rendano conto che non tutti i titoli di Stato emessi dai 16 Paesi dell'Eurozona sono uguali, pretende che ogni governo si assuma le responsabilità del suo bilancio pubblico. Se questo crea instabilità sui mercati - dicono in queste ore i funzionari del governo - pazienza o forse meglio: per sopravvivere l'euro ha bisogno che il Patto di stabilità che lo sostiene funzioni davvero. In più, il governo di Berlino deve fare attenzione ad aspetti apparentemente formali ma in realtà potenzialmente decisivi. In Germania, per dire, alcuni economisti - ieri il rispettato Max Otte sulle colonne del giornale finanziario Handesblatt - cominciano a sostenere che il pacchetto di salvataggio all'Irlanda viola le regole del Trattato di Maastricht perché sposta le passività di un Paese sui partner. Se così ritenesse anche la Corte Costituzionale tedesca, tutto finirebbe nel caos: la Germania non potrebbe partecipare al salvataggio e quindi quest'ultimo fallirebbe. Situazione «straordinariamente seria», in effetti.

Danilo Taino
24 novembre 2010

Fonte: Corriere.it

La Sicilia: Ritorsione, le auto siciliane non possono circolare in Italia

Il caso domani sul tavolo dell'assessore Piercarmelo Russo
Revisione auto nulla oltre lo Stretto, la Regione cerca vie d'uscita
Martedì 23 Novembre 2010
Giovanni Ciancimino


Palermo.In effetti, il presidente dell'Associazione Campeggiatori Turistici d'Italia ha ragione. Il problema della revisione delle macchine effettuata in Sicilia col marchio Regione Siciliana non riconosciuta al di là dello Stretto esiste. L'assessore regionale ai Trasporti, Pier Carmelo Russo, infatti, ha convocato per domani le categorie interessate per trovare una via d'uscita, al fine di evitare che le macchine revisionate in Sicilia vengano multate e private del relativo libretto nel resto del Paese.

Il problema ha origini lontane. Tra il 1999 e il 2000, presidente della Regione pro tempore, Vincenzino Leanza, sottoscrisse un accordo con lo Stato che, nel quadro delle norme di attuazione dello Statuto autonomistico siciliano, trasferiva alla Regione i poteri in materia e in virtù del quale avrebbe incamerato le somme relative. Accordo tramutato in decreto legislativo varato dal governo centrale di allora. Quindi operante.

Cosa è successo nel frattempo? La Regione ha incassato i diritti provenenti dalla revisione delle macchine. Senonché, in data recente, il ministero dei Trasporti ha aperto un contenzioso sulla legittimità della competenza della Regione. Quindi, il Consiglio dei ministri, il 27 ottobre dello scorso anno, sollevò un conflitto di attribuzioni, secondo cui sarebbe errata la convinzione che le entrate derivanti dalle revisioni dei veicoli siano «tasse spettanti alla Regione Siciliana». Al governo regionale si contesta di aver creato «una propria e distinta procedura informatizzata per l'accertamento delle entrate». Il che, fra l'altro, secondo il ricorrente violerebbe una direttiva della Cee.

Si sa che sono in corso trattative tra il governo regionale e il ministero dei Trasporti per trovare una via d'uscita immediata in modo che i 900 mila automobilisti siciliani, che hanno revisionato le loro macchine, possano circolare senza problemi nel resto del Paese. E questo sembra un problema la cui soluzione non dovrebbe essere difficile se è vero che sul passato si metterebbe, come si suol dire, una pietra sopra. E le revisioni effettuate in data successiva alla contestazione del Ministero dei trasporti?

Questo problema è più complicato da risolvere: riguarda le revisioni effettuate, appunto, dopo il contenzioso aperto dal governo centrale i cui proventi sono già stati incassati dalla Regione.

A questo punto cosa potrà succedere? É da escludere che la Regione restituisca allo Stato sic et simpliciter le somme riscosse finché non si pronunci la Corte Costituzionale.

Ma, intanto, gli automobilisti quali garanzie avranno di circolare nel resto del territorio nazionale? Come detto, domani l'argomento sarà affrontato da un tavolo convocato dall'assessore ai trasporti. Ma, se viviamo nella stessa Repubblica, riteniamo che, fino alla pronuncia della Consulta, il decreto legislativo a suo tempo varato dal governo centrale dovrebbe restare in vigore. Poi si vedrà.

Fonte: La Sicilia

Monday, 22 November 2010

LAltraSicilia.org: La Regione contiua ad umiliare la diaspora

Consulta: una vergogna tutta siciliana 2

Con delega assessoriale del 10 settembre 2010 l’assessore regionale della famiglia, delle politiche sociali e del lavoro Nicola Leanza veniamo a conoscenza della nomina di alcuni nostri connazionali residenti all’estero e di tanti anche di quelli nominati in italia non ci è dato di conoscere né l’origine, né l’indirizzo dove abitano ma anche di quelli nominati all’estero di alcuni non appare neanche la residenza.

Dalla lettura non sappiamo quale associazione rappresentino, non sappiamo di quale fantomatica struttura facciano parte ma tanti fanno parte di quelle famose sette sorelle che gesticono l’emigrazione in Sicilia a sapere: USEF – C.O.E.S. – SICILIA MONDO – ISTITUTO FERNANDO SANTI - Associazione SIRACUSANI NEL MONDO - ANFE – A.I.T.A.E – A.I.T.A.F) senza dimenticare le ACLI – E.N.C.A.L – I.N.P.A.L , i sindacati CISL – UIL – CGIL - e le relative rappresentanze del movimento cooperativistico UNCI – AGCI.

Non sapevamo che anche sette esperti erano stati nominati ed a questi signori-esperti vorremmo chiedere, a parte i loro tanti viaggi all’estero a spese del contribuente, quanto tempo hanno lavorato in un qualsiasi paese del mondo.

Contrariamente alla Regione Sardegna, la Regione Siciliana, non riconosce l'associazionismo che opera all'estero, ma come sopra descritto soltanto all'associazionismo presente in Sicilia. Un monopolio assolutamente ingiustificato perché obbliga le associazioni a subire progetti e programmi, fatti in Sicilia da gente senza scrupoli che fin ora ha solo, nella migliore delle ipotesi, hanno sprecato miliardi (prima in lire ed adesso in milioni di euri) pubblici.

Contiua a leggere sul sito de L'Altra Sicilia

Telegraph.co.uk: Rappresentanti UE ammettono destino segnato

L’ ORRIBILE VERITA’ COMINCIA A FARSI STRADA TRA I LEADER EUROPEI
DI AMBROSE EVANS-PRITCHARD
16 novembre 2010


[Attenzione alle parole di Van Rompuy: in questo momento certe dichiarazioni potrebbero essere solo uno strumento per cercare di deprimere l'Euro nei confronti del dollaro. Questo non ne elimina del tutto il peso politico, ndr]

L'intero progetto europeo è ora a rischio di disgregazione, con conseguenze strategiche ed economiche che sono molto difficili da prevedere.

In un discorso tenuto questa mattina, il presidente dell'Unione europea Herman Van Rompuy (poeta e scrittore di versi giapponesi e latini) ha avvertito che se i leader europei trattano maldestramente la crisi attuale e consentono lo scioglimento dell’eurozona, essi distruggono la stessa Unione europea.

"Siamo in una crisi di sopravvivenza. Dobbiamo lavorare tutti insieme per sopravvivere con la zona euro, perché se non sopravviviamo con la zona euro non sopravviveremo con l'Unione europea ", ha detto.

Bene, bene. Questo tema è fin troppo familiare ai lettori del The Daily Telegraph, ma è come uno shock ascoltare una tale confessione dal presidente europeo dopo tutti questi anni.

Egli ammette che la scommessa di lanciare una moneta prematura e disfunzionale, senza una tesoreria centrale, o unione del debito, o governo economico per sostenerla - e prima che le economie, i sistemi giuridici, le pratiche di contrattazione salariale, la crescita della produttività, la sensibilità del tasso d’interesse del Nord e del Sud Europa arrivassero dovunque vicino ad una convergenza sostenibile - ora può ritorcersi contro orribilmente.

Fu detto a Jacques Delors e compagni, padri dell'UEM (Economic and Monetary Union), dagli economisti della Commissione nei primi anni ‘90 che questa avventura spericolata non avrebbe potuto funzionare così come costruita, e avrebbe portato ad una crisi traumatica. Essi fecero spallucce di fronte alle avvertenze.

Gli era anche stato detto che la moneta unica non elimina il rischio: essa sposta semplicemente il rischio di cambio verso ill rischio di default. Per questo motivo era tanto più importante disporre di un meccanismo efficace per i default sovrani e le ristrutturazioni del debito in atto sin dall'inizio, con regole chiare per stabilire i giusti prezzi di tale rischio.

Ma no, i maestri della UE non volevano sentire niente di tutto ciò. Non potevano esserci dei default e nessuna preparazione fu fatta o addirittura consentita per un simile risultato del tutto prevedibile. Fu sufficiente la sola fede politica. Gli investitori che avrebbero dovuto essere informati meglio andarono dritti nella trappola, pagando il debito greco, portoghese e irlandese a 25-35 punti base al di sopra dei Bund. all’apice del boom i fondi d’investimento acquistavano obbligazioni spagnole con uno spread di 4 punti base. Ora stiamo vedendo quello che succede quando si consolida tale rischio morale nel sistema, e si spegne il segnale d’allarme.

Delors ha detto ai colleghi che ogni crisi sarebbe una "crisi salutare", consentendo all'UE di abbattere la resistenza al federalismo fiscale, e di accumulare energia fresca. Lo scopo della EMU è stato politico, non economico, per cui le obiezioni degli economisti potevano felicemente essere ignorate. Una volta che la moneta era in vita, gli stati UE avrebbero rinunciato alla sovranità nazionale per farla funzionare nel tempo. Ciò porterebbe inevitabilmente al sogno di Monnet di uno stato dell'Unione europea a pieno titolo. E causare la crisi.

Dietro a questa scommessa, ovviamente, c’era il presupposto che ogni crisi potrebbe essere contenuta ad un costo tollerabile una volta che gli squilibri del sistema monetaria EMU “un’unica taglia che non va bene a nessuno” avessero già raggiunto livelli catastrofici, e una volta che le bolle del credito di Club Med e dell'Irlanda fossero esplose. Si presumeva anche che la Germania, Paesi Bassi, Finlandia in ultima analisi - a seguito di molte proteste - si sarebbero impegnate a pagare il conto per una “Unione europea di sussidi di solidarietà”.

Si può presto scoprire se tale ipotesi è corretta. Lungi dall’amalgamare l'Europa, l'unione monetaria sta portando ad acrimonia e recriminazioni reciproche. Abbiamo avuto la prima eruzione all'inizio di quest'anno quando il vice premier della Grecia ha accusato i tedeschi di aver rubato l’oro greco dai forzieri della banca centrale e aver ucciso 300.000 persone durante l'occupazione nazista.

La Grecia è ora sotto un protettorato dell'Unione europea, o il "Memorandum", come lo chiamano. Ciò ha provocato attacchi terroristici di minor conto contro chiunque associato al governo UE. Irlanda e Portogallo sono più indietro su questa strada per la servitù della gleba, ma sono già alle prese con la politica imposta da Bruxelles per essere presto sotto protettorati formali in ogni caso. La Spagna è più o meno stata costretta a tagliare i salari pubblici del 5% per soddisfare le richieste dell'UE in maggio. Tutti sono costretti a lavorare duro a causa dell'agenda di austerità dell'Europa, senza la contropartita del soccorso della svalutazione e di una più libera politica monetaria.

Dato che questo continuerà anche nel prossimo anno, con tasso di disoccupazione fermo a livelli da depressione o addirittura oltre in maniera strisciante, ci si comincia a interrogare sulla paternità di tali politiche. C'è pieno consenso democratico, oppure questa sofferenza è imposta da capi supremi stranieri con un obiettivo ideologico? Non ci vuole molta immaginazione per vedere cosa tutto questo sta per fare per la concordia in Europa.

La mia opinione personale è che l'UE è divenuta illegittima quando si è rifiutata di accettare il rigetto della Costituzione europea da parte degli elettori francesi e olandesi nel 2005. Non ci poteva essere alcuna giustificazione per resuscitare il testo del trattato di Lisbona ed imporlo attraverso una procedura parlamentare senza referendum, in quanto costituiva un putsch autoritario. (Sì, i parlamenti nazionali sono stati a loro volta eletti - quindi non scrivete commenti indignati di puntualizzazione -. Ma quale era il loro motivo per negare ai loro popoli un voto in questo caso specifico? I leader eletti possono anche violare la democrazia. C'era un caporale in Austria ... ma lasciamo perdere questo).

L'Irlanda era l'unico paese costretto a considerare una votazione della sua corte costituzionale. Quando anche questo elettorato solitario ha votato no, l'UE ha nuovamente ignorato il risultato e intimato all'Irlanda di votare una seconda volta per farlo "giusto".

Questo è il comportamento di una organizzazione proto-fascista, per cui se l'Irlanda ora - per ironia della storia, e senza compenso – fa scoppiare la reazione a catena che distrugge la zona euro e l'Unione europea, sarà difficile resistere alla tentazione di aprire una bottiglia di whisky Connemara e godersi il momento. Ma bisogna resistere. Il cataclisma non sarà gradevole.

Il mio pensiero per tutti quei vecchi amici che ancora lavorano per le istituzioni dell'UE è: cosa accadrà alle loro pensioni in euro se il signor Van Rompuy ha ragione?

Fonte originale: Telegraph.co.uk
Traduzione: Come Don Chisciotte

Repubblica.it: Eccoci servita l'ennesima fanta-storia di Sicilia

L'Isola dei carrozzoni

[In grassetto il vero motivo del risentimento degli autori, ndr]


Il clientelismo risale al '500
Lunedì allo Steri si presenta "La zavorra", saggio di Enrico Del Mercato ed Emanuele Lauria su sprechi e privilegi in Sicilia. Si parte con un precedente del Cinquecento: mentre il regno di Spagna aboliva le guarentigie per i tribunali sacri, a Palermo chi faceva parte del Sant'Uffizio godeva ancora dell'immunità. Cinque secoli più avanti la Corte dei conti accuserà la folla di stipendiati della Regione diventati 144 mila
di ENRICO DEL MERCATO e EMANUELE LAURIA


"Todos los ricos, nobles y los delinquentes". Il 3 novembre del 1577 il nuovo viceré di Sicilia, Marco Antonio Colonna, eroe della battaglia di Lepanto, scrive al sovrano di Spagna, Filippo II, per spiegargli perché nell'Isola è così difficile governare. Parla di nemici, "tutti ricchi, nobili e delinquenti". Ma chi sono? Sono i membri del Sant'Uffizio, nella sede siciliana dell'Inquisizione. E sono tantissimi: almeno 24 mila persone, considerando i 1.572 dipendenti diretti e tutti gli altri "affiliati" che possono beneficiare di privilegi e immunità.

Un bel carrozzone clientelare in stile rinascimentale che l'eroe di Lepanto si era messo in testa di smantellare. O, quantomeno, di ricondurre alle dimensioni che gli uffici dell'Inquisizione avevano nel resto del Regno. E già, perché una tale pletora non era dato trovarla né a Napoli, né in Castiglia, né in Aragona. Anzi. A far saltare la mosca al naso del viceré era stata proprio la lettura degli atti di Concordia firmati qualche anno prima del suo arrivo in Sicilia. In base a quegli accordi, in tutto il Regno di Spagna le strutture dell'Inquisizione erano state riformate: snellite nei loro apparati burocratici e, soprattutto, private di una sostanziosa parte dei privilegi. In particolare, gli appartenenti al Sant'Uffizio erano stati sottratti alla giurisdizione speciale del foro dell'Inquisizione per reati non attinenti alla religione. Significava che, se qualcuno avesse commesso un omicidio o un furto, sarebbe stato giudicato non più da una corte composta da "amici", ma da un normale tribunale.

In quell'anno 1577, in cui l'eroe di Lepanto arrivò a Palermo, tutto questo era la regola nell'intero e vasto Regno guidato da Filippo II. Ovunque, tranne che nella "specialissima" Sicilia. Laggiù, nell'isola, chi faceva parte della mastodontica struttura del Sant'Uffizio poteva ancora farla franca, anche se si fosse macchiato di reati che con la religione non c'entravano nulla. Un bel privilegio, non c'è che dire, che faceva gola a parecchi. "In Sicilia - scriveva Marco Antonio Colonna al re - si fa a gara per entrare nel numero dei dipendenti del Sant'Uffizio, nella convinzione che tale acquisto li liberi da ogni timore di giustizia e li renda sicuri".

Insomma, tutti i ricchi, i nobili e i delinquenti di Sicilia (per stare alle parole del viceré) correvano a garantirsi un posto in quel carrozzone che era diventato il tribunale dell'Inquisizione, non tanto per assolvere alla cieca esigenza di punire apostati, bestemmiatori, giudei e sodomiti, quanto per garantirsi, pragmaticamente, un vastissimo spazio di impunità. Ecco allora "uno strepitoso ampliamento della rete dei familiari e degli ufficiali che operavano al servizio del Sant'Officio. In poco più di un decennio si era avuta una crescita del 300 per cento".

Per contrastare questo andazzo, Marco Antonio Colonna pensò di riformare gli uffici dell'Inquisizione in Sicilia uniformandoli a quelli del resto del Regno. Figurarsi, si rivelò subito una missione impossibile. Aveva messo le mani, l'eroe di Lepanto, su un grumo di interessi protetti, ma soprattutto aveva toccato l'orgoglio siculo, scalfendo uno dei princìpi non scritti sui quali esso si fonda: la Sicilia è una "nazione" a sé, per la quale lo Stato centrale (sia esso il Regno di Spagna o, molto più tardi, la Repubblica italiana) deve prevedere leggi autonome, speciali, riservate solo ai siciliani e non in vigore altrove.

Non a caso, in quella lunga e solo apparentemente non sanguinosa guerra di potere col Colonna, i difensori dei privilegi del Sant'Uffizio siciliano sostennero non solo che l'Inquisizione in genere dovesse avere più poteri ovunque, ma che la struttura siciliana dovesse avere più potere di ogni altro Santo Officio spagnolo. Uno di loro scriveva così a Filippo II: "Che cosa può attendersi mai vostra Maestà da un Regno tanto inquieto e lubrico come la Sicilia, posto in mezzo ai suoi nemici, tanto lontano dalla sua presenza, pieno di eretici e di turchi che, per la molta pratica di navigare in quei mari, vi svernano con la medesima sicurezza come in Levante e se gli eretici non fan lo stesso è per il timore del Sant'Officio?".

Per difendere il loro privilegio autonomista gli inquisitori e i signori loro alleati sparsero veleni e maldicenze sul viceré, agitarono lo spettro della totale distruzione dell'Inquisizione, iniettarono a corte, a Madrid, venefici ragionamenti sul fatto che l'eroe di Lepanto - in quanto italiano - mal conciliasse i propri sentimenti con quelli della Corona spagnola. Alla fine, gli inquisitori siciliani la spuntarono.

Nel 1580 fu firmata una nuova Concordia che regolava i rapporti tra il Sant'Uffizio e la Corona e che, ovviamente, lasciava intatti i privilegi dell'Inquisizione siciliana. Marco Antonio Colonna, sommerso dai veleni e dalle dicerie, cadde in disgrazia presso il sovrano. Venne "commissariato "con l'invio di un osservatore da Madrid e, ben prima che scadesse il suo mandato, fu richiamato in Spagna per discolparsi. Durante il viaggio morì. Resta il sospetto che sia stato avvelenato.

Cinquecento e passa anni dopo, nella Sala delle capriate dello Steri, che fu la sede dell'Inquisizione in Sicilia, il procuratore generale della Corte dei conti Vincenzo Coppola snocciola le cifre del pachidermico bilancio della Regione siciliana. È il 30 giugno del 2010, il giorno in cui - per tradizione - i magistrati contabili passano in rassegna le cifre sulle quali si regge il bilancio dell'ente al quale più di ogni altro i siciliani affidano la propria vita, dalla culla alla bara: la Regione, per l'appunto. È un appuntamento, questo, di routine.

Sotto il tetto dalle volte lignee, a pochi passi dalle stanze nelle quali - ai tempi del viceré Marco Antonio Colonna - venivano torturati eretici, giudei, bestemmiatori, rotolano numeri che raccontano l'annuale miracolo della Regione autonoma siciliana: un bilancio che dovrebbe costringere a portare i libri in tribunale e che, invece, continua ad assistere i siciliani come se fossero gli ultimi superstiti del socialismo reale. Quando il procuratore Coppola arriva al numero di dipendenti che la Regione siciliana ha in organico, però, sembra di rivedere in quelle stanze l'eroe di Lepanto chino a scrivere a Filippo II la lettera sulla pletorica "famiglia" del Sant'Uffizio siciliano.

"Alla data del 31 dicembre - scandisce il magistrato contabile - i dipendenti a tempo indeterminato della Regione hanno raggiunto il numero di 13.528". Ma non sono solo questi gli stipendiati in via diretta dall'amministrazione regionale. A loro si aggiunge quello che il procuratore generale della Corte dei conti chiama "personale esterno a tempo determinato": esattamente 7.114 persone. In questa categoria entrano 1.461 lavoratori utilizzati nelle Spa di cui la Regione controlla l'intero pacchetto azionario e delle quali, dunque, sostiene per intero le spese, i dirigenti e i funzionari a contratto. Tirando le somme, i dipendenti a foglio paga della Regione raggiungono la cifra di 20.642 unità. Ma non basta neppure questo numero a comprendere quale peso abbia sulla società siciliana la Regione.

A quei 20.000 e passa dipendenti diretti, infatti, va aggiunto ancora l'esercito di precari che ogni mese riceve un assegno dalle casse regionali: lavoratori socialmente utili, lavoratori a progetto, forestali, dipendenti delle Asl. Sommandoli agli impiegati si arriva alla cifra di 144.147. È il numero di stipendi che paga ogni mese Mamma Regione siciliana: più del doppio della Fiat, la maggiore industria italiana, oppure l'intera popolazione di una città come Salerno, anziani e neonati compresi. È come se le radici di quell'antico carrozzone denunciato dal viceré Marco Antonio Colonna fossero riemerse producendo un nuovo mostro burocratico dispensatore di assistenza e privilegi.

(20 novembre 2010)

Fonte: Repubblica.it

Thursday, 18 November 2010

QdS.it: Carburanti, trasporto Priolo-Sicilia più caro che Priolo-Toscana

Carburanti, novembre “amaro” automobilisti isolani tartassati
di Giuseppe Bellia

Terzo appuntamento del mese con le rilevazioni dei prezziari presso i distributori siciliani. Le compagnie petrolifere della Sicilia ancora più care che nel resto d’Italia



PALERMO – Dopo i ribassi d’ottobre, continua la “rincorsa” al rialzo dei carburanti che sta caratterizzando il mese di novembre. Gli indicatori economici di questa progressiva ascesa dei prezzi sono gli indici nazionali di benzina e diesel (Pmn), questi presentano un andamento in crescita, secondo i dati dei rilevamenti del 15 novembre operati dal portale Prezzibenzina.it.

Tuttavia, i prezziari dei carburanti dovrebbero quanto prima avere un’inversione di tendenza verso una nuova serie di ribassi. Infatti, la quotazione del petrolio (dopo aver sforato gli 85 dollari la scorsa settimana) è scesa intorno agli 80 dollari al barile (ieri 81,83).

Benzina

Prezzo medio nazionale rilevato dal portale Prezzibenzina.it lo scorso lunedì 1,369 €/L.

Listini isolani della benzina, sempre in vetta alla speciale classifica dei “salassi alla pompa”.

Infatti, tutti i prezziari censiti nel comparto lo scorso 15 novembre non solo hanno abbondantemente superato il Pmn (Prezzo medio nazionale), ma hanno presentato un prezziario al distributore superiore all’euro e quattro centesimi al litro.

Il listino più caro fra quelli rilevati nell’Isola è stato quello dell’Agip (1,431 €), prezziario che ha presentato un sovraprezzo di quasi un centesimo, rispetto allo stesso listino della stessa compagnia esposto in Toscana (1,343 €). In graduatoria segue la Q8 (1,415 €), mentre i prezziari più economici sono stati quelli delle compagnie petrolifere Esso ed Erg (1,410 €).

Diesel

Prezzo medio nazionale nel comparto registrato dalla stessa fonte e lo stesso giorno 1,240 €/L.

A differenza dei prezzi della benzina, quelli del diesel rilevati in Sicilia sono più in linea con i prezziari delle altre regioni. Nonostante ciò, i consumatori isolani pagano sempre qualche millesimo in più che altrove. Per questa settimana il listino più caro fra quelli censiti nel comparto è stato quello della Q8 (1,286 €), seguito da Erg (1,279 €) ed Agip (1,275 €). Tutti i listini rilevati nell’Isola dalle compagnie petrolifere sopra citate hanno presentato prezzi, dati alla mano, più cari degli stessi prezziari esposti in Lombardia, Veneto, Emilia – Romagna, Toscana e Lazio.

La differenza di prezzo più rilevante registrata è il gap fra il listino Agip in Sicilia e quello censito in Toscana: la compagnia petrolifera è la stessa, ma la differenza fra i due listini è 73 millesimi a sfavore del prezziario isolano.





Fonte: Quotidiano di Sicilia

Wednesday, 17 November 2010

La Sicilia: ArenaWays, Siciliani primi treni privati in Italia


Parte la guerra dei binari. Il «battesimo» di Arenaways, la compagnia fondata dal messinese Giuseppe Arena

Un siciliano lancia la sfida a Trenitalia
A bordo delle nuove e moderne carrozze anche un supermarket e una lavanderia per i passeggeri
Martedì 16 Novembre 2010


Torino. Alle 7,10, puntualissimo, lascia la stazione di Torino Lingotto, con i primi passeggeri a bordo, il treno di Arenaways, la società privata che prova a rompere il monopolio delle Ferrovie. Due ore dopo entra a Milano Porta Garibaldi, con dieci minuti d'anticipo rispetto all'orario previsto, ma senza fermate intermedie.

Con il fischio della giovane capotreno Laura Scognamillo, 26 anni, figlia di un ferroviere siciliano, parte la sfida della piccola società di Alessandria. Un avvio tra polemiche e tensioni. Lo confermano i cartelli sulle biglietterie di Torino Porta Susa: «Non si danno informazioni su altri vettori». Sui monitor però il nome di Arenaways c'è e lo speaker in stazione annuncia l'arrivo del treno citando, con un'errata pronuncia, il nome della società.

«Si pensa che la concorrenza si possa vincere con un'opera di sfiancamento - osserva l'amministratore delegato della società, Giuseppe Arena, 59 anni, originario di Messina - ma ce l'abbiamo fatta lo stesso, anche se non è la partenza che avremmo voluto. I passeggeri sono pochi, ma ci faremo conoscere. È una giornata storica». Arena, che ha fondato e gestito diverse aziende ferroviarie di di livello nazionale e internazionale, ricorda presenterà subito tre ricorsi: all'Antitrust, all'Ufficio di regolazione dei servizi ferroviari del ministero dei Trasporti, e alla Commissione Europea.

Il treno, giallo e rosso, è pieno di servizi accattivanti: si può fare la spesa a bordo, scegliendo i prodotti e ritirando la spesa al ritorno in stazione o lasciare i vestiti in lavanderia come in albergo e riprenderli, tre giorni dopo, puliti e stirati. La classe è unica e le carrozze sono fornite di prese di corrente e monitor su cui compariranno le news e un video sulla sicurezza a bordo come sugli aerei.

«Abbiamo visto - spiega Patrizia De Bernardi, coordinatrice dei servizi sui treni Arenaways - da una indagine effettuata, che la maggioranza dei pendolari è single. Il rischio è che debbano passare il sabato a fare le commissioni, noi proviamo a dare loro una mano». C'è anche il minimarket accanto allo snack bar e alcuni prodotti hanno il marchio AW della società: pasta pugliese, olio, conserve, vino.

I pendolari per ora sono pochi. L'Ufficio di regolazione dei servizi ferroviari (Ursf, organo del ministero dei Trasporti) non ha consentito le fermate intermedie, limitando le corse solo a Torino e Milano affinchè «non vi sia interferenza alcuna con i servizi per i quali è previsto un contributo pubblico». Un ostacolo che non ha però fermato Giuseppe Arena, ma che fa capire come la cosiddetta guerra dei treni sia in pieno svolgimento. Solo un mese fa la polemica era scoppiata ra Fs e Ntv, l'azienda privata che ha tra i suoi fondatori Luca Cordero di Montezemolo e Diego Della Valle e tra gli azionisti Intesa SanPaolo, Generali, Bombassei, e che scenderà sui binari dell'alta velocità nel settembre 2011.

Intanto Arenaways è stata accolta bene dai primi passeggeri. Angela è salita «per curiosità», così come Corinne che studia all'Università della Bicocca e confessa di essere «nauseata dai treni delle Ferrovie». Sante Altisio e Paolo Pellegrini, invece, vanno a Milano per lavoro e il treno Arenaways lo hanno preso per caso: «C'è una bella differenza, non sembra neppure un treno». A molti passeggeri è piaciuta l'idea di poter fare il biglietto a bordo senza pagare sovrapprezzo (il ticket point accetta anche le monetine), così come piace la garanzia del rimborso di una parte del biglietto in caso di ritardo superiore a mezz'ora qualunque sia la causa.

Fonte: La Sicilia

Tuesday, 16 November 2010

SofiaOggi.com: South Stream, siglato accordo Russia-Bulgaria

La visita di Putin a Sofia si è conclusa con successo per la Russia, la Bulgaria è ancora in attesa

Tre accordi, due dei quali legati al progetto "South Stream" e uno in ambito sociale, hanno firmato Bulgaria e Russia nella giornata di visita della delegazione russa guidata dal primo ministro Vladimir Putin, che è arrivato sabato in Bulgaria su invito del suo omologo bulgaro Boyko Borisov.

La parte russa ha firmato l’accordo degli azionisti e lo statuto della società “South Stream - Bulgaria AD”, ma ha reso chiaro che il progetto “South Stream non è affatto collegato al prezzo del gas”, come ha sottolineato lo stesso Vladimir Putin. Giorni prima della visita del Primo Ministro russo, dalla stampa russa era trapelato che la Russia avrebbe offerto tra il 5 e il 7% di riduzione del prezzo del gas in Bulgaria.

"Con la firma dell'accordo di oggi per South Stream i governi di Bulgaria e Russia entro i prossimi cinque o sei mandati di governo riceveranno più di 2 miliardi di dollari nei loro bilanci a seconda della quantità di gas che passerà attraverso le condutture" ha detto il Primo Ministro bulgaro Boyko Borisov . Egli ha sottolineato che i conti bancari della nuova società del progetto South Stream saranno gestiti dalla Bulgarian Development Bank, che è al 100% di proprietà del governo, e ha sperato che il suo omologo russo al più presto possa dare una risposta alla domanda riguardante i prezzi del gas .


Segnali radicalmente diversi sono giunti dalle parti russe e bulgare sul progetto di costruzione della centrale nucleare di Belene. Putin ha detto che la parte russa ha dato alla Bulgaria il richiesto prezzo, fissato e finale, per il progetto che include i finanziamenti russi ed è in attesa della risposta da parte di Sofia. Il Ministro dell'Economia e dell'Energia Traycho Traykov, tuttavia, ha spiegato in seguito ai giornalisti che "a proposito di Belene non c’è nulla di nuovo".


Nel frattempo Sergey Kiriyenko ha detto che Atomstroyexport ha preparato una argomentazione tecnico-economica del progetto totalmente nuova, non hanno mai smesso di lavorare su di esso e alla fine del prossimo anno, potrà essere fornita l’attrezzatura completa per il primo reattore e di poter recuperare qualsiasi ritardo. La documentazione del progetto è stata presentata all’agenzia bulgara per il controllo nucleare e in sede di esame coinvolgerà i rappresentanti della Commissione Europea e l'Agenzia internazionale per l'energia atomica.

Secondo Kiriyenko, nella sua nuova versione, il progetto si ammortizzerà in meno di 20 anni, tenendo conto che il periodo di ammortizzamento medio è di 25 anni, su un ciclo di vita dei reattori di 60 anni. Il nuovo progetto tecnico per la costruzione della centrale nucleare di Belene sarà approvato entro la fine dell'anno, ha detto l'ufficio stampa del governo.

"La parte russa è pronta a realizzare questo progetto in modo ottimizzato per la Bulgaria, con la fornitura di risorse creditizie, con la fornitura di attrezzature, con il sostegno di imprese locali, con l’adesione di altre società dell'Europa occidentale a questo progetto, con la fornitura di combustibili e con il suo utilizzo dopo tutto questo", ha detto Putin in una conferenza stampa dopo gli incontri.

Di fronte a Vladimir Putin il primo ministro bulgaro ha ribadito la posizione del governo sul progetto dell’oleodotto “Burgas-Alexandroupolis”. "Secondo gli esperti e la popolazione, violerebbe l’equilibrio ecologico nella zona ed è pericoloso per il turismo bulgaro. Comunque siamo ancora in attesa della valutazione di impatto ambientale, lasceremo agli esperti di decidere, ma grazie a Putin che mostra comprensione per la nostra posizione", ha detto Boyko Borisov.

Più tardi, i due primi ministri hanno visitato la Cattedrale di Alexander Nevsky di Sofia, dove si sono inchinati davanti alle reliquie di San Giovanni Battista, che qualche mese fa sono stati scoperte durante gli scavi di Sozopol. Si prevede che le reliquie rimarranno nella capitale per tre giorni.

Boyko Borisov ha regalato a Putin un cucciolo di “Pastore Karakaciano”, una razza bulgara.

Putin ha incontrato il suo partner di lunga data, il Presidente Georgi Parvanov, ma il loro ultimo colloquio non è durato più di mezz'ora.



Fonte: SofiaOggi.com

Sunday, 14 November 2010

Corriere.it: Papa "predica" ritorno all'agricoltura

L'ANGELUS
Il Papa: «Cambiare modello di sviluppo, Serve un rilancio dell'agricoltura»
Appello di Benedetto XVI: «La crisi economica va presa in tutta la sua serietà. Basta stili di vita insostenibili»

CITTA' DEL VATICANO - «La crisi economica in atto, di cui si è trattato anche in questi giorni nella riunione del cosiddetto G20, va presa in tutta la sua serietà: essa ha numerose cause e manda un forte richiamo a una revisione profonda del modello di sviluppo economico globale». Il Papa lancia il suo monito durante l'Angelus. Secondo Benedetto XVI, la crisi «è un sintomo acuto che si è aggiunto ad altri ben più gravi e già ben conosciuti, quali il perdurare dello squilibrio tra ricchezza e povertà, lo scandalo della fame, l'emergenza ecologica e, ormai anch'esso generale, il problema della disoccupazione».

I GIOVANI TORNANO ALLA TERRA - Il pontefice chiede per questo motivo una «revisione profonda del modello di sviluppo globale». Serve lavoro, dice, la cui «importanza» per l'umanità non va mai dimenticata, e servono politiche contro la disoccupazione. Benedetto XVI auspica poi un «rilancio strategico dell'agricoltura», «non in senso nostalgico ma come risorsa indispensabile per il futuro». «Non pochi giovani - afferma - hanno già scelto questa strada; anche diversi laureati tornano a dedicarsi all'impresa agricola, sentendo di rispondere così non solo ad un bisogno personale e familiare, ma anche a un segno dei tempi, ad una sensibilità concreta per il bene comune»

CONSUMO INSOSTENIBILI - Il Papa aggiunge che «malgrado la crisi, consta ancora che in Paesi di antica industrializzazione si incentivino stili di vita improntati ad un consumo insostenibile, che risultano anche dannosi per l'ambiente e per i poveri». Benedetto XVI chiede perciò una «revisione profonda del modello di sviluppo globale». La«tentazione per le economie più dinamiche», nella economia della crisi, ammonisce il Papa, è quella di «ricorrere ad alleanze vantaggiose» ma «gravose per gli Stati più poveri», con prolungamento di «situazioni di povertà estrema di masse di uomini» e prosciugamento delle «risorse natuali».

Redazione online
14 novembre 2010

Fonte: Corriere.it

Wednesday, 10 November 2010

LAltraSicilia.org: A Roma la Chiesa della Nazione Siciliana

SANTA MARIA ODIGITRIA DEI SICILIANI
Alphonse Doria
Siculiana, 26 ottuviru 2010


In questi giorni sono stato a Roma, con la mia “trinacria” all’occhiello, in bella vista. Da sempre non ho avuto l’inclinazione né per i simboli né per le etichette, ma il mostrare la “trinacria” lo sento come un dovere, perché siamo così in pochi noi sicilianisti che è necessario evidenziarlo. Così un conoscente mi sparò:

-Sei orgoglioso della Sicilia e dei Siciliani! Eh?

-Non è una questione di orgoglio. Amo la Sicilia! Amo il Popolo Siciliano! Come quando un uomo ama una donna, aldilà dell’orgoglio. Posso pure dirti che sono orgoglioso della mia sicilianità e del mio sicilianismo!

Risposi così pacatamente, anche se dentro di me riflettevo che vorrei fare di più per la mia Patria. Ecco cosa provoca il nostro atavico simbolo.

Questa mio sicilianismo attivo fa si che vado cercando ovunque ciò che testimonia l’identità nazionale della Sicilia. Ciò che è storia e cultura del nostro Popolo Siciliano. Perché spesso cercano di inculcarci nella nostra mente, nella nostra eredità culturale, che noi siamo un Popolo senza storia, senza identità.

Quasi ci vogliono convincere che noi Siciliani non siamo mai esistiti. Sono esistiti: Sicani, Siculi, Elimi, Fenici, Greci, Romani, Cartaginesi, Arabi, Spagnoli, Aragonesi, Angioini, Francesi, Svevi, Normanni, Italiani, gente di qualsiasi altra parte del mondo, ma mai indigeni, Siciliani! Qualcuno anzi sostiene che la popolazione indigena, anticamente era composta solo di giganti, rozzi, malvagi e cannibali ciclopi, lestrigoni. Questa leggenda nata un po’ dai ritrovamenti dei teschi degli elefanti nani, un po’ come personificazione dei nostri promontori, come Monte Erice, oppure l’Etna, soprattutto nati dalla fantasia dei nostri colonizzatori di turno.

Per la precisione il termine “sicano” ha origine dal mesopotamico accadico “sukano” che significa appunto stabilire, abitare, nel senso di ‘coloro che erano stabiliti, gli antichi abitanti, “indigeni”, del luogo.

Tu chi sei? Ti senti Siciliano? Lo senti nell’animo? Lo senti nel cuore? Allora c’è già chi incomincia sospettare di te, almeno sospetta … E “il sospetto è l’anticamera della verità” come disse il gesuitico Pintacuda. Ancora piangiamo il frutto della campagna razzista Piemontese, suffragata dalla pseudo scienza di Lombroso, alibi per la loro colonizzazione della nostra Patria Sicilia. Frutto della dura campagna denigratoria a spese del nostro Popolo con mezzi portentosi come cinema, televisione, giornali e altro, tanto da caricarci la croce, a livello internazionale, dell’atroce binomio Sicilia/mafia.

Nonostante ciò, ci siamo! Siamo quei sicilianisti, sparsi in tutto il mondo che non ci rassegniamo, a discapito di tutto e di tutti, orgogliosi di esserlo. Quindi esistiamo. Tanto da farci aiutare dalla locuzione cartesiana cogito ergo sum, e così dire: penso in siciliano, quinti sono un Siciliano, allora esisto!

Risolto il nostro problema esistenziale, scherzandoci su, ma non troppo, abbiamo la necessità di testimoniare concretamente questa nostra esistenza, con fatti e non solo a parole.

A mio avviso una forte testimonianza, prova dei fatti, è la chiesetta a Roma, in Via del Tritone al numero 82, tanto per intenderci, nei pressi della Fontana di Trevi, raggiungibile in metrò direzione Barberini, edificata per la protettrice della Nazione Sicilia: Santa Maria Odigitria dei Siciliani.

Il professore Santi Correnti, forse il più importante storico contemporaneo della storia siciliana, ad appoggiare la sua tesi di storia della Sicilia come storia del Popolo Siciliano nel suo libro, per l’appunto, STORIA DI SICILIA come STORIA DEL POPOLO SICILIANO nell’Introduzione al punto 3, nelle pagine 20 e 21 dell’edizione tascabile in mio possesso della Clio stampato nel 1995 per conto del Gruppo editoriale Brancato, scrive:

“E a quanto sopra riferito aggiungiamo, dal punto di vista della storia di
Sicilia come storia del popolo siciliano, che a Roma, accanto alle chiese nazionali di San Luigi dei frangesi, o di Sant’Agostino dei portoghesi, o della Madonna di Monserrato degli spagnoli, esiste ancora la chiesa “nazionale” dei siciliani, quella di Santa Maria dell’Itria in via del Tritone, fondata nel 1595 della comunità siciliana di Roma, che ancora reca la scritta “Proprietas Siculorum”; e ricordiamo che il concetto di “regno” è ancora così radicato nella coscienza popolare siciliana, che per indicare un forestiero che non intende il dialetto siciliano si dice che è di “fora regno”; crediamo che possiamo serenamente affermare la legittimità scientifica di una storia di Sicilia come storia del popolo siciliano, senza aver tema che essa possa essere qualificata di “pretesa ridicola”, come qualche illustre bacalare della cultura isolana vorrebbe che fosse. Sulla scia di maestri come Biagio Pace, Francesco De Stefano e Giuseppe Pitrè, noi teniamo quinti fermo il nostro principio già affermato nel 1956 con la prima edizione di questo volume e oggi qui ribadito, che la storia di Sicilia può essere concepita e attuata unicamente come storia del popolo siciliano.”


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