Wednesday 29 December 2010

La Sicilia: Masturbazioni mentali di un post-risorgimentale

Il Rapporto Immaginario tra la Sicilia e lo Stato
L'Isola dei miti da Garibaldi «eroe liberatore» all'ansia di riscatto
Martedì 28 Dicembre 2010
Enrico Iachello


Gli storici conoscono (e provano, ma è affare più difficile per la complessità della cosa, a valutarne di volta in volta l'impatto) il ruolo dell'immaginario sociale e della "battaglia" che attorno ad esso si gioca nello svolgersi di processi ed eventi "reali". L'immaginario non esaurisce la "realtà", ma certamente ne fa parte. L'immaginario sociale si nutre di miti che ne costituiscono l'articolazione, spesso l'affermazione. Nella vicenda nazionale della Sicilia, cioè negli ultimi 150 anni, l'immaginario dei siciliani (e sui siciliani) ha subito profonde trasformazioni che non è qui possibile neanche accennare pena un lungo elenco che il lettore troverebbe insieme faticoso e sommario. Più opportuno allora soffermarsi, nella ricorrenza del 2011, su qualche considerazione che tenti di esprimere in estrema sintesi l'articolarsi del rapporto "immaginario" (ma anche reale per quel che sopra dicevamo) tra l'isola e lo stato unitario.

Punto di partenza quello costitutivo della nuova nazione che proprio in Sicilia trova con la spedizione garibaldina la spinta determinante. Il mito è qui rappresentato da Garibaldi che incarna l'eroe liberatore: in Sicilia da eroe Garibaldi si fa mito per la rapidità con cui sbaraglia l'esercito borbonico, ma anche per i tratti mitologici che assume la sua figura. Canti e leggende popolari lo rendono da una parte l'eroe protetto da Santa Rosalia (è la leggenda del braccialetto che la Santa gli dà per impedire ai proiettili di colpirlo), dall'altra il Cristo "umanizzato" e laico della tradizione massonica. Attorno all'esperienza garibaldina, forte di un ampio consenso popolare, si salda la corrente democratica che, se pur sconfitta da Cavour, caratterizzerà il rapporto dell'isola con lo stato unitario. Dapprima in termini propriamente "garibaldini": nel 1862 Garibaldi dalla Sicilia prova a ripartire per liberare Roma e Venezia e gli equilibri politici del nuovo Stato. Ancora una nuova sconfitta. Ma a partire dal mito garibaldino la Sicilia si sente protagonista, finché le elezioni del 1874 consacrano l'affermazione della Sinistra e il mutamento dei rapporti politici in Italia. Un siciliano dei Mille, Crispi, sarà sul finire del secolo colui che tirerà le file di questa lunga marcia per ricomporre attorno al mito di Garibaldi "eroe disciplinato" l'immaginario nazionale: nel momento in cui inaugura sul Gianicolo nel 1895 il monumento a Garibaldi, Crispi lo inserisce nel pantheon ufficiale della nazione e gli pone accanto Vittorio Emanuele II.

La storia successiva si popola di immagini contraddittorie. Nel corso del primo Novecento l'élite palermitana, Florio inclusi, rielabora e rilancia il mito del sicilianismo e del complotto antisiciliano per far fronte alle difficoltà che pongono i nuovi processi sociali e politici di una società di massa passando attraverso gli effetti destabilizzanti della crisi agraria. Si elabora e si afferma l'immaginario "riparazionista" (dei torti subiti) che tanta fortuna avrà nell'immaginario isolano, destinato a riemergere, sia pure ormai svigorito, quasi fenomeno carsico, dal 1946 (Statuto della Regione, art. 38) ai nostri giorni, ma anche ad alimentare un'altra mitologia "dotta": quella dell'identità siciliana custode di valori arcaici, passata indenne nel tempo grazie al suo "isolamento" e al suo "immobilismo": precipitano e convergono in questa visione - di cui Sciascia in seguito sarà l'esponente e l'artefice più alto - elementi diversi e divergenti. La fortuna della lettura del Gattopardo nella chiave del «tutto cambia perché nulla cambi» è spia del radicamento di questo mito a livello "alto" oltre che "basso". Ma il suo successo è frutto del sincretismo di miti "conservatori" (la nazione siciliana) e miti "rivoluzionari": riparare l'ingiustizia secolare cui il popolo siciliano è stato sottoposto, dai suoi invasori (ci sarebbero paradossalmente anche gli italiani definiti all'uopo "piemontesi"), ma anche da una classe dirigente "feudale" e mafiosa (la lettura di "sinistra") che appunto lo ha tenuto nell'immobilità.

Il rapporto con lo Stato unitario si assesta a livello di una richiesta di risarcimento (e sarà, con la storia tormentata dell'art. 38, la Cassa del Mezzogiorno, sperimentati e vanificati la riforma agraria - "la terra ai contadini" - e i grandi insediamenti industriali). Il mito "sicilianista" si ingrotta allora nel rassicurante assistenzialismo di un'autonomia regionale sorretta dalla "solidarietà" nazionale e si avvita politicamente su se stesso in patti più o meno taciti (anch'essi destinati a riprodursi sino ai nostri giorni) tra governo e opposizione a Palazzo dei Normanni. La "sicilianità" si rifugia frattanto nella metafora letteraria e nel folklore (si pensi alla Sicilia cinematografica, o alle analisi della sociologia/antropologia anglosassone e al suo "familismo amorale"), ma riesce anche a trasformarsi - ancora Sciascia - in atto di accusa e in ansia generale e generica di riscatto.

Non ci si faccia ingannare dalle congiunture politiche attuali: anche se oggi sembrerebbe rimergere, il sicilianismo è in gran parte ai margini dell'immaginario sociale siciliano (nonostante - ripeto - i tentativi di risuscitarlo con accanimento terapeutico da parte dei "leghisti" del Sud). I giovani alfabetizzati ed europeizzati della Sicilia contemporanea, gruppi significativi ed importanti delle classi imprenditoriali (si pensi alle posizioni antimafia ed "efficientiste" di Confindustria), l'immigrazione crescente e in alcuni casi di seconda generazione, se pure sembrano ancora "balbettare" più che elaborare un nuovo immaginario, seguono altri miti che non riusciamo a comprendere perché non sono chiari neanche ai loro occhi. Occore però evitare nell'esaminare la Sicilia attuale di appiattirsi nella deprecatio temporum riducendo tutto alla poltiglia del luogo comune del "berlusconismo" e del "grande fratello". La "terra dei miti" sembra essersi spopolata. Ma se non vi sono, fortunatamente, rivoluzioni nel nuovo immaginario, né nell'orizzonte "reale", si colgono attese e inquietudini popolate di immagini nuove e non sempre negative che conviene spiare nella loro natura frammentaria nell'impossibilità attuale di "guadarle" da parte di intellettuali e politici prigionieri di categorie e immagini antiquate. E chissà che riflettendo sul processo di unificazione in Sicilia 150 anni dopo, ripercorrendo immagini, miti e ideali di una rivoluzione immaginata e realizzata, non si riesca a trovare frammenti da proiettare nel futuro. Forse è una semplice formula augurale per la Sicilia nell'Italia unita da 150 anni, ma potrebbe diventare una speranza.

Fonte: La Sicilia

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