Monday 13 December 2010

CataniaPolitica.it: Battiato, i suoi maestri, i suoi discepoli

Su Battiato ed altre eresie
15 novembre 2010

di Riccardo Raimondo- E il giorno della fine non ti servirà l’inglese (F.Battiato, Il Re del Mondo), ma neanche l’arabo, e neanche le canzoni di Battiato.

Che il tono di questo articolo-congettura non turbi gli animi più sensibili: l’ironia farà da spalla al senso pratico della critica e la critica cercherà di essere il più legittima possibile, cercando di non cadere nell’ironia offensiva o, peggio ancora nell’accusa banale. Spero che vorrete concedermi anche qualche piccola parodia mondana.

Procuratevi subito le opere di G.I.Gurdjieff, imparate l’arabo, leggete qualche mistico sufi, imparate a fare il sesso senza sentimenti e a danzare come gli zingari nel deserto, spolverate il tutto con un po’ di elettronica, lasciate cuocere in TV per qualche anno – ma senza troppe apparizioni – ed ecco pronta sui vostri mp3 la ricetta musicale del mistico più radical chic che pontifica nei salotti italiani: Franco Battiato. Per i più golosi, suggeriamo prima e dopo i pasti lo shivaismo tantrico di stile dionisiaco.

Scherzi a parte, in questa sede vorrei scavare un po’ di più nella poetica di Battiato e per farlo non posso che scrutare le idee che si aggirano tra il salotto più frequentato dal cantante catanese. Il salotto di cui parlo è quello che ruota intorno a Roberto Calasso (direttore della nota casa editrice Adelphi) e Jaeggy Fleur, sua moglie, che per Battiato ha scritto molti testi. Non posso approfondire in questa sede le più complesse tematiche teologiche, ma dirò – per semplificare – che al centro delle idee di questi intellettuali neognostici della gauche c’è il così detto pensiero negativo. Pensiero che ad esempio aveva tanto ha affascinato Walter Benjamin. “Un pensiero della Krisis”, per dirla con Cacciari (anche lui vicinissimo all’Adelphi): prospettive che il dionisiaco Calasso ha totalmente fatto proprie.

Per capire meglio alcuni topoi cardinali di questo pensiero, ci basterà trarre qualche spunto da una delle radici principali che lo nutre. Ho pensato quindi di parlare dell’Adwaita Vedanta.

Per dirla con poche parole, è una delle principali scuole di pensiero della religioni induista, fondata sulla parte finale della letteratura dei Veda, un’antichissima raccolta di testi sacri ai popoli indoiranici che invasero l’India settentrionale nel XX a.C. .

Scrive M.Blondet nel suo famoso libro Gli “Adelphi” della dissoluzione, parlando dell’interpretazione personale che Calasso fa dell’opera di Nietzsche:

L’Adwaita Vedanta affronta il problema dell’imcompletezza dell’uomo […] : a ogni istante l’uomo trova che il suo «io» ha di fronte un «non-io», il mondo che egli non domina, ma anzi subisce. […] Il Vedanta insegna che l’infinito «non-io», il mondo esteriore all’uomo, è Maya, illusione, o – nella versione tantrica del pensiero indù – è Shakti, la manifestazione della «potenza magica» (Maya significa appunto magia) della Dea, di Kali, della Materia prima Universalis. Ma il Vedanta insegna anche la legittima ascesi per riassorbire l’illusione del mondo non già nell’«io» – ché anche l’io è manifestazione della stessa illusione –, ma nel Sé impersonale che è la fonte di tutto, della manifestazione universale e della sua dissoluzione. Identifica l’io con il Sé, l’atman – l’anima individuale – con il Brahman divino, che significa esercitarsi ogni ora a «morire a sé stessi»: a vedere il proprio io come un grumo di passioni, paure e desideri, sete di vivere e di esistere, che va abbandonato.

Il Nietzsche di Calasso intraprende la via inversa, luciferina: «Egli mantiene tutti i termini dell’affrontamento» fra io e non-io […], ma invece del mite svanire dell’io, del «morire a sé stessi», […] cerca di trasportare l’io, con uno sforzo titanico della volontà – mentre l’io stesso di sfalda […] – , nell’abisso del tutto indifferenziato.

Già Guenon aveva messo in guardia contro questa via, quando ne Il Regno della quantità e i segni dei tempi parlava dei contro-iniziati, quelli che nell’esoterismo islamico si chiamano awliya asc-Sciaytan, «i santi di Satana». Una via simile non può che concludersi con una «disintegrazione totale dell’essere cosciente, e con la dissoluzione senza ritorno […] sempre più lontano dal centro principale. Fino a precipitare», la via del male.

Qual è l’unico essere nella storia del mondo che tutte le religioni hanno descritto come capace di superare «le correnti gravitazionali, lo spazio e la luce per non invecchiare» (Battiato, La cura), che conosce «le leggi del mondo» e ne fa dono agli uomini? Prometeo, il portatore di luce, Lucifero, Shakti il Distruttore, Dioniso.

Seguendo questa indagine teologica possiamo illuminarci sulla natura dello shivaismo tantrico di stile dionisiaco e, per dirla sulla falsa riga della canzone Sentimiento Nuevo di Battiato, possiamo scoprire che non è «bellissimo perdersi in questo incantesimo». Anzi è proprio questa la via che i mistici di tutte le fedi hanno definito come la via del male.

A collante di questa congettura potremmo dire moltissime cose (ma invito i lettori a una ricerca personale più approfondita). Però vorrei sottolineare l’aspetto del pervertimento del Sacro, parlando appunto di Shiva il Distruttore che insieme a Brahma (il Creatore) e Vishnu (il Conservatore) forma la santissima Trinità indù: la Trimūrti. Tutti i momenti della Ruota della Trimūrti sono necessari: preferire un termine a scapito dell’altro significa sovvertire l’ordine della natura, scardinare le leggi dell’universo, disperdere il centro.

La via del male porta infatti «sempre più lontano dal centro principale». E appunto un altro dei topoi cari a questi neognostici è il non-centro.

Ricordiamo ad esempio la canzone di Battiato che parla dell’impossibile ricerca di un centro di gravità permanente. E come dirà in interviste successive Battiato: «per fortuna non l’ho trovato un centro». Questo pensiero negativo, quindi, non ha propriamente nulla a che fare con il Sacro, ma, anzi, è tutto l’opposto. È un pervertimento del Sacro.

Blondet ritrova questo pervertimento anche in una delle più importanti fascinazioni del cantante catanese. Il giornalista ricorda infatti che i «Dunmeh, seguaci di Sabbatai Zevi, dopo la pseudo-conversione all’Islam si sono rifugiati nelle conventicole segrete dei sufi turchi, i Dervisci Danzanti. Sarebbero costoro a conservare i segreti culti della Grande Madre e di Dioniso sotto mentite spoglie». Sul satanismo di Sabbatai Zevi invito i lettori a una ricerca personale, qui infatti non posso dilungarmi.

Ciò che mi preme dire però è che questa interpretazione dionisiaca del Sacro non può che essere parziale, incompleta, perché invece di trascendere la dualità ne esclude uno dei termini: l’apollineo. Le implicazioni politiche à gauche di questa interpretazione non ci interessano, quanto più invece ci interessa il disordine e il dolore che nelle nostre vite può derivare dall’accogliere un simile insegnamento.Già il grande illuminista Umberto Eco si è divertito a prendersi gioco di questi neognostici per dire – in sostanza – che dietro il mistero esoterico non c’è nulla e che anzi non può portare che a violenze, dolori, suicidi e, nella peggiore delle ipotesi, sacrifici umani.

Già nella querelle Eco-Calasso, l’adelphiano di ferro si era posto in una posizione molto chiara, scrivendo in Cadmo e Armonia che «Cadmo ha al centro una zona teoretica sul rapporto fra sacrificio e ierogamia […] due facce della stessa medaglia». E ancora ne La rovina di Kash, Calasso descrive il sacrificio umano azteco come qualcosa che «la vita, se vuole perpetuarsi, esige che si colga [...]», o come «l’esuberanza della vita, che soltanto in quel sangue [del sacrificio] si promette perenne». Perché secondo Calasso oggi «dissolto il sacrificio tutto il mondo torna ad essere, senza saperlo, un’immensa officina sacrificale».

Come nel Marchese de Sade, la Natura che ama Calasso è quella divoratrice e feroce, distruttiva.

Un altro autore caro a Calasso, Georges Battaille dirà su de Sade in La letteratura e il male: «l’essenza delle sue opere [di De Sade] è la distruzione: non solamente la distruzione degli oggetti, delle vittime messe in scena [...] ma anche dell’autore e della sua stessa opera». Una teologia della distruzione quindi, della dissoluzione.

Sul rischio di questa regressione, sul pericolo necrofilo d’identificare piacere e morte, aveva già messo in guardia R.Guenon.

È il «viaggio con la mescalina che finisce male nel ritorno» di cui parla Battiato in Shock in my town. Calasso questo lo sa bene e, ammettendo che «il sacrificio è causa della rovina e che anche l’assenza del sacrificio è causa della rovina», deduce che «la società è la rovina», e quindi non ci rimane che shockare la Città, il “centro” della società.

Piacere e sacrificio, Amore e Morte sono altri topoi che ritroviamo manipolati nella poetica di Battiato. Ancora una volta non c’è una vera idea del Sacro, ma un sofferto districarsi «tra astinenza e pentimenti, tra sesso e castità». Non c’è una vera idea di trascendenza degli opposti, ma le dicotomie vengono mantenute e vengono risolte in una pratica negativa: «sono sempre stato un Manicheo» – ammette il cantante. Le dicotomie non vengono trascese ma dissolte in un «buio dove forze oscure da sempre si scatenano» (Battiato, Tra sesso e castità): non siamo noi a vivere l’Eros, ma siamo vissuti da Kali, schiavi della libido.

La castità identificata come il male, la disinibizione e il sesso come la liberazione.

L’idea del Sacro e della trascendenza scompare, resta solo un grande fraintendimento: un mal interpretato «Ama secondo il Tao», una «Fornicazione» dionisiaca (dall’album L’ombrello e la macchina da cucire).

Sappiamo invece che l’Eros non è solo un “luogo dove scatenare forze oscure”, ma in molte pratiche e religioni è anche un mezzo per unire le anime al di là dei corpi e provare l’esperienza del Divino: niente «forze oscure» quindi, ma la vera Armonia della natura che si rivela.

Questi messaggi fanno molto leva sugli animi delle persone, perché colpiscono i centri di problematiche molto profonde e attivano meccaniche arcane e spesso irrisolte. L’ignoranza totale che il pubblico occidentale ha su questi argomenti permette a questi “Sacerdoti del Nulla” di mistificare a loro piacimento ogni argomento.

D’altronde il Buddha ci aveva già messo in guardia, dicendo che L’Ego può reinterpretare tutto a suo uso e consumo, tutto, persino l’idea del Sacro.

Non c’è il Sacro nei luoghi di cui ho parlato in questo articolo, e non c’è neanche lo gnosticismo, perché semplicemente non c’è la ricerca della Verità, ma solo l’inno a un solo aspetto della Verità: quello negativo, a sfavore dei quello positivo. Non c’è neanche un “emanciparsi dalla religione” (come alcuni vorrebbero vedere) nelle idee di questi pseudognostici ma, anzi, c’è la teorizzazione di una contro-religione. Questo genere di messaggi non servono a nulla e portano solo al suicidio, al dolore o al sacrificio umano (come ricordava U.Eco) o, al limite, possono servire ad alimentare una sorta di provincialotto e grossolano anticlericalismo.

Ciò che tengo a dire in questo articolo è che chi lo scrive non ha abbracciato alcuna fede, perché si riconosce in tutte le fedi e in tutte ritrova il vero spirito che dovrebbe guidare un possibile gnosticismo moderno: la ricerca della Verità, del Bene e del Male. Sulla via del Sacro, da sempre, Apollo e Dioniso danzano in una sola danza: la via della trascendenza.

Se uno costruisce e l’altro distrugge, che cosa guadagnano se non la fatica? Se uno prega e l’altro maledice chi dei due è ascoltato dal Signore? (Siracide 34, 23)

Fonte: CataniaPolitica.it

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